Il 31 ottobre del 1979 te ne sei andato piegato dalla fatica. Ricordo ancora il tuo mezzo sorriso, caro papà… dolce e gentile… L’altra metà te l’avevano portato via i due anni di lager nazista a Dortmund che avevi dovuto scontare per non esserti voluto piegare alla barbarie del nazifascismo». Con queste parole sui suoi profili social Vasco Rossi ricorda il papà scomparso. «Non ci crederai… ma sono tornati… lupi travestiti da agnelli… bulli. Arroganti e le facce ghignanti. Con i loro deliri… i loro dileggi… la loro propaganda… e la stessa ignoranza”, ha aggiunto Vasco nel post in cui si vede una foto del padre in divisa. “Io resto orgoglioso di te! Viva Giovanni Carlo Rossi… Papà Carlino!». (dal quotidiano “La Stampa”)
A questa stupenda e benefica (oserei dire sacrosanta) provocazione ha fatto seguito la meschina e infantile reazione dei politici sorpresi con le dita nella marmellata del neofascismo riveduto e scorretto e quella saccente e snobistica degli storici che non guardano la storia ma la punta del loro naso.
Tutto si riduce alla stucchevole diatriba sull’esistenza di un pericolo fascista. Non c’è per chi non lo vuol vedere anche perché è ben camuffato nell’autoritarismo del premierato strisciante, nella repressione spacciata per sicurezza, nell’egoismo spacciato per liberismo, nel razzismo spacciato per patriottismo, nell’insofferenza per i diversi spacciata per bigottismo perbenista pseudo-religioso, nel fisco vissuto come obbligo fastidioso da evitare spudoratamente, nella critica esorcizzata come sfogo anti-italiano, nello scontro politico considerato un demagogico vezzo tardo-comunista, nell’antifascismo relegato nell’album dei ricordi, etc. etc.
Non c’è peggior fascista di chi non vuol ammettere di esserlo stato e/o di ispirarsi, direttamente o indirettamente (quindi ancor più pericolosamente), ad esso nella prassi politica odierna, cadendo in questa tentazione nascosta o manifesta, improvvisa o insistente, passata ma sempre presente soprattutto se non si ha il coraggio di fare e chiudere i conti con essa.
Se poi alziamo lo sguardo e ci imbattiamo nel sovranismo dilagante o nel nazionalismo imperante, come li chiamiamo? Per me sono fascismo bello e buono. Bisogna intendersi: tutti i fenomeni autoritari nascono nell’indifferenza dei molti, nel fanatismo dei pochi e nel ribellismo dei coraggiosi che non si piegano e pagano di persona.
Mi è stata inculcata questa visione politico-culturale del fascismo e non voglio assolutamente liberarmene e ringrazio vivamente chi me la mantiene viva. Non sopporto chi mi vuole raccontare che non esiste alcun pericolo di marca fascista. Rispondo parafrasando una famosa dichiarazione di don Andrea Gallo: «Non mi curo di certe sottigliezze culturali e politiche perché mi importa solo una cosa: che la Costituzione italiana sia antifascista!»