I conti dell’Italia sono messi meglio di quanto possa sembrare. O almeno è questo quello che fanno pensare i giudizi delle agenzie di rating arrivati a tarda sera. S&P ha confermato il suo giudizio sul debito italiano, con un giudizio BBB/A-2 e outlook stabile, mentre pochi minuti dopo anche Fitch ha annunciato una conferma del rating italiano al livello BBB, con un outlook che però migliora, da stabile a positivo. Le Borse avevano già mostrato ottimismo sui giudizi in arrivo: lo spread tra i Btp italiani e i Bund tedeschi ha chiuso sotto i 118 punti base, ai minimi degli ultimi tre anni.
Secondo l’agenzia di rating americana S&P nel periodo 2024-2027 il Pil italiano crescerà in media dell’1% all’anno, con un ritmo migliore di quello del periodo pre-pandemia. Ma il merito è di fatto esterni e temporanei: «L’Italia si trova ancora ad affrontare sfide strutturali economiche sostanziali che probabilmente riemergeranno quando verranno meno sia lo stimolo derivante dall’incentivo fiscale “Superbonus” per le ristrutturazioni residenziali sia i fondi NextGeneration Eu» ricorda S&P. (dal quotidiano “Avvenire”)
Non mi avventuro nel groviglio di sigle economico-finanziarie e tanto meno mi sento in grado di entrare nel merito dei giudizi formulati dalle agenzie di rating. Mi limito a contrapporre a tali visioni, tutto sommato rassicuranti, i dati Istat sulla povertà in Italia.
Nel 2023 sono in condizione di povertà assoluta poco più di 2,2 milioni di famiglie (8,4% sul totale delle famiglie residenti, valore stabile rispetto al 2022) e quasi 5,7 milioni di individui (9,7% sul totale degli individui residenti, come nell’anno precedente).
L’incidenza della povertà assoluta fra le famiglie con almeno uno straniero è pari al 30,4%, si ferma invece al 6,3% per le famiglie composte solamente da italiani.
L’incidenza di povertà relativa familiare, pari al 10,6%, è stabile rispetto al 2022; si contano oltre 2,8 milioni di famiglie sotto la soglia.
In lieve crescita l’incidenza di povertà relativa individuale che arriva al 14,5% dal 14,0% del 2022, coinvolgendo quasi 8,5 milioni di individui.
Appare evidente il contrasto fra i marker economici e quelli sociali. La spiegazione la trovo nel pensiero di Robert Kennedy, personaggio di cui sento una nostalgia profonda e inconsolabile.
Non troveremo mai un fine per la nazione né una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nell’ammassare senza fine beni terreni. Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell’indice Dow-Jones, né i successi del paese sulla base del prodotto interno lordo [Gross National Product]. Il PIL comprende anche l’inquinamento dell’aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine-settimana. Il PIL mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa, e le prigioni per coloro che cercano di forzarle […]. Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai nostri bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari, comprende anche la ricerca per migliorare la disseminazione della peste bubbonica, si accresce con gli equipaggiamenti che la polizia usa per sedare le rivolte, e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari. Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. […] Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari, l’intelligenza del nostro dibattere o l’onestà dei nostri pubblici dipendenti. Non tiene conto né della giustizia nei nostri tribunali, né dell’equità nei rapporti fra di noi. Il PIL non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta. Può dirci tutto sull’America, ma non se possiamo essere orgogliosi di essere americani. (Robert Kennedy, Discorso sul Pil, 18 marzo 1968, Kansas University)