“Conosco gente che è andata via e che è bene che stia dove è andata, perché sicuramente questo Paese non soffrirà a non averli più fra i piedi”. Queste sono le parole sui giovani italiani andati a lavorare all’estero, pronunciate dal ministro del lavoro Giuliano Poletti, che hanno scatenato una tempesta a livello mediatico, culminata in una mozione di sfiducia presentata da alcune forze di opposizione a livello parlamentare, accompagnata dal solito ricattino della sinistra dem (pronta a sfruttare l’occasione per la solita battaglia di retroguardia, questa volta sulla riforma del mercato del lavoro) e da una certa piccata reazione da parte dei giovani del partito democratico, forza politica a cui aderisce il ministro sotto pressione.Sarei curioso di capire bene cosa intendesse dire il ministro, il quale non ha spiegato i motivi di questa sparata, ma si è precipitato ad autosmentirsi e a scusarsi. Una semplice gaffe? La cosa non mi convince: tutti possiamo sbagliare ed esagerare nei nostri giudizi. A me capita spesso di esprimermi in modo provocatorio, finalizzato soprattutto a far emergere ed esplodere il dibattito su un problema reale che magari tende a rimanere sotto traccia. Da un ministro si pretenderebbe un certo senso di responsabilità, anche se su questo argomento non è il primo uomo di governo che interviene con espressioni piuttosto pesanti: dai “bamboccioni” di Tommaso Padoa Schioppa e Mario Monti agli “schizzinosi” di Elsa Fornero per finire coi “pistola” di Giuliano Poletti. Ho sempre pensato che in queste irridenti definizioni ci fosse una abbondante cucchiaiata di cattiveria senile, ma anche una punta di verità sociale. Sarebbe ora di rientrare dalle continue ed insistenti scorribande verbali di un linguaggio e di uno stile politici da caserma, ma certe puntate provocatorie non sono necessariamente da censurare, considerato il fatto che nel caso specifico chi finge di scandalizzarsi ne spara a raffica di tutti i colori.Giuliano Poletti prima di essere uomo di governo è uomo che conosce direttamente il mercato del lavoro per averlo vissuto sul fronte imprenditoriale di Legacoop, non è quindi uno sprovveduto e non mi sembra un vuoto fanfarone alla ricerca di effettacci mediatici.Desumo che volesse, seppur polemicamente e provocatoriamente, lanciare alcuni messaggi. Azzardo ipotesi.Forse intendeva dire che molti giovani latitano nelle università senza studiare e facendo spendere inutilmente un sacco di quattrini ai loro genitori? È vero, ho l’occasione di osservarli nelle loro abitudini goliardiche e sono portato a stupirmi dello spirito di sopportazione dei loro genitori (mio padre e mia madre se avessi menato il can per l’aia mi avrebbero immediatamente tagliato i viveri e costretto a cambiare registro).Forse intendeva dire che i giovani, anziché ripiegare sulle facili ricette dell’antipolitica e sui semplicistici No, sarebbe meglio che si impegnassero politicamente e costruttivamente, non per tornare al ’68 ma nemmeno per portare acqua al mulino populista.Forse intendeva dire che parecchi giovani non hanno alcuna capacità di adattamento al mercato del lavoro e rifuggono da certe mansioni di basso livello, non si adattano a profili professionali lontani dai loro titoli di studio, non accettano modalità, tempi e procedure di grande sacrificio, si adagiano sull’aiuto di genitori e nonni illudendosi e illudendoli sull’avvento di tempi migliori, non hanno la mentalità del lavoro che spesso occupa un posto secondario nella loro scala di valori, si intestardiscono su scelte scolastiche campate in aria preludio a sicure e scontate disoccupazioni intellettuali.Forse pensava che i giovani emigranti in cerca di lavoro non sono necessariamente migliori di quanti scelgono di rimanere in Italia, non sono tutti stacanovisti o vittime sacrificali o cervelli sopraffini, ma anche personaggi in cerca di fortuna, di lavoro leggero e di guadagno facile.Forse pensava che nell’era della globalizzazione dobbiamo rassegnarci a considerare normale una certa mobilità che vada al di là dei confini nazionali.Forse pensava che le generazioni passate (che oggi vengono considerate come privilegiate nelle loro certezze (?) pensionistiche), per arrivare a certi risultati sul piano professionale ed economico, si sono fatte “il mazzo”, hanno sgobbato ben più di quanto siano disposti a fare certi giovani d’oggi.Forse pensava che la nostra scuola (corporativamente impermeabile ad ogni e qualsiasi tentativo di riforma) e la nostra università (imprigionata in logiche baronali e massoniche) non riescono ad aprirsi a validi giovani docenti e ricercatori e non si raccordano col mercato del lavoro e i suoi andamenti, sfornando figure professionali senza possibilità di domanda, privilegiando profili didattici antiquati, selezionando gli allievi in modo sbrigativo e superficiale.Forse pensava che la crisi occupazionale non ha confini, è problema mondiale che risale alla crisi economica e alla necessità di lunghe e faticose conversioni produttive, che risente delle ristrettezze della finanza pubblica e dell’allungamento dell’età pensionistica, che soffre della messa in discussione a tutti i livelli del welfare, che dipende da enormi ritardi culturali e politici.Forse pensava che un ministro del lavoro non ha la bacchetta magica per creare nuovi posti di lavoro e che molto se non tutto dipende da nuovi investimenti produttivi a livello privato e pubblico e che il governo Renzi, che, pur con tutti i limiti, si stava impegnando in tal senso, è stato mandato a casa e chi l’ha mandato a casa soffia sul fuoco del malcontento giovanile.Forse pensava che i sindacati dei lavoratori dovrebbero fare la scelta dei giovani e non dei pensionati o degli occupati come, tutto sommato, dimostra l’insistenza nella difesa di certi totem del passato (vedi referendum per cancellare sostanzialmente gran parte dell’avviata riforma del lavoro, un ritorno al passato che non aiuterebbe minimamente i giovani in cerca di occupazione).Forse pensava che i problemi del lavoro non si risolvono cancellando i voucher e facendo gli schizzinosi sui diritti dei lavoratori, finendo col difendere chi il lavoro ce l’ha e ostacolando chi non ce l’ha.Forse pensava che in questo Paese bisogna smetterla di fare demagogia per affrontare concretamente i problemi, rimuovendo l’inefficienza e la clientela dalla pubblica amministrazione, promuovendo meccanismi di selezione e di carriera che premino il merito.In conclusione non credo che Giuliano Poletti sia il demone politico (affamatore del popolo giovanile) che si scontra con gli angeli (i giovani puri e belli cerca di lavoro) e che meriti di essere precipitato negli inferi da improvvisati redentori di facili costumi.Tuttavia, se voleva esprimere tutti questi legittimi dubbi e queste pertinenti opinioni, doveva essere più chiaro e trasparente a costo di dare le dimissioni o di avere la sfiducia del Parlamento, non su una frase più o meno maliziosa, ma su un discorso complessivo. A volte è meglio andare a casa nella chiarezza che rimanere in carica nell’equivoco ingoiando rospi assurdi.