Roma, scontri tra manifestanti pro Palestina e forze dell’ordine. Sono scoppiati violenti scontri durante la manifestazione pro Palestina, tra attivisti e forze dell’ordine. I manifestanti, scesi in piazza nonostante il divieto della questura, hanno cercato di forzare il blocco su via Ostiense e sono stati respinti dagli agenti in tenuta antisommossa. Almeno 34 persone sono rimaste ferite, di cui 30 tra le forze dell’ordine, mentre una ragazza è stata colpita alla testa e soccorsa sul posto. Dei fotografi sarebbero invece stati bastonati da alcuni manifestanti.
Fin qui la cronaca, ma occorre ragionare e cercare di capire.
Nonostante si parli spesso di manifestazioni “autorizzate” e “non autorizzate” in Italia la legge non prevede che la polizia debba approvare questi eventi, dato che la Costituzione italiana riconosce il diritto a «riunirsi pacificamente». Questa regola ha però dei limiti: per prima cosa ogni volta che qualcuno vuole organizzare una manifestazione deve comunicare almeno 48 ore prima alla questura competente il luogo, la data, l’ora, la motivazione, una stima dei partecipanti e un eventuale percorso. Questa comunicazione non serve ad avere un’approvazione, bensì a dar conto che una manifestazione avverrà, ma è obbligatoria.
Gli unici casi in cui le autorità possono vietare una manifestazione sono quelli in cui è possibile identificare dei «comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica». In relazione alla manifestazione del 5 ottobre a Roma, la polizia nel suo comunicato aveva menzionato anche il rischio di scontri e disordini che avrebbero potuto creare problemi all’ordine pubblico, ma il problema principale, anche nelle dichiarazioni del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, sembrava comunque quello ideologico. Sabato sono state organizzate manifestazioni in favore della Palestina anche in altre città del mondo: circa 40mila manifestanti hanno marciato nel centro di Londra, e migliaia di persone si sono radunate anche a Parigi, Manila e Città del Capo. (da “Il Post”)
Nella mia vita ho partecipato a molte manifestazioni politiche e (quasi) in tutte c’era il rischio di infiltrazioni violente. Ricordo per analogia quelle contro la guerra in Vietnam. La democrazia però non si difende vietando aprioristicamente le manifestazioni, ma semmai controllandone ed arginandone lo svolgimento.
Il divieto preventivo, oltre che essere legalmente e costituzionalmente inammissibile, risulta essere controproducente, diventando una sorta di indiretta istigazione. Il confine tra le motivazioni di ordine pubblico e quelle di ordine ideologico è molto labile: si può sempre trovare un pericolo a livello di disordine nelle manifestazioni di protesta su questioni peraltro caldissime. Allora che si fa? Si vietano tutte le manifestazioni scomode (tali sono le manifestazioni pubbliche che si rispettino)?
Mi sento di auspicare proteste, non violente ma forti, contro tutte le guerre in genere, ma nel caso specifico contro quella a cui stiamo assistendo tra Israele e il resto del mondo. Sì, perché Israele non si sta difendendo, ma vuole distruggere una volta per tutte, ciò che lo circonda e lo disturba. La vile aggressione patita non giustifica ciò che ne è conseguito, vale a dire la distruzione del territorio e del popolo palestinesi, l’attacco al Libano e quant’altro si sta verificando in un macabro balletto fra un attacco israeliano e un contrattacco arabo e viceversa.
Certo condanno con infinito sdegno i misfatti di Hamas, ma non accetto di giustificare tutto alla loro infernale luce. Non mi sembra che quanto Israele sta distruggendo e coloro che vengono uccisi dall’esercito israeliano siano riconducibili a basi e a sostenitori dei terroristi di Hamas (senza dimenticare che quando uno è disperato può arrivare anche a schierarsi con Hamas o roba del genere: lo diceva Giulio Andreotti, non certo un ingenuo pacifista).
Un cittadino italiano avrà oppure no diritto a far sentire la propria voce di protesta, schierandosi magari in difesa del popolo palestinese che, in questa guerra c’entra come i cavoli a merenda? In fin dei conti i manifestanti a favore della Palestina, in modo talora confuso, sbracato e violento, gridano, per lo meno in parte, quanto l’Onu e anche molti Paesi (fra cui gli Usa e finanche l’Italia) osano solo bisbigliare per non dare fastidio ad Israele, che può permettersi tutte le violazioni possibili e immaginabili, nascondendosi dietro una sorta di impunità conseguente alla Shoah.
Non credo proprio che in questo modo si onorino i martiri della colossale strage nazista, ma si finisca col vendicarla facendola ricadere su chi non ha colpe al riguardo. Il torto e la ragione non stanno mai da una parte sola: proprio per questo bisogna finirla con la legittimazione delle guerre che partono mettendo la ragione soltanto ed esclusivamente da una parte.
Dove è scritto che non si possa contestare con veemenza il comportamento dei governanti israeliani? Nella vomitevole realpolitik? Nell’assurdo gioco delle alleanze che peraltro fanno acqua da tutte le parti? Nell’omertoso e vergognoso atteggiamento statunitense preoccupato solo di non disturbare gli elettori di matrice israeliana? Nell’equilibrismo meloniano volto a nascondere la polvere dei problemi interni sotto il tappeto degli schieramenti internazionali? Nella subordinazione dei principi democratici agli striscianti e subdoli regimi in cui rischiamo di essere immersi?
Per me vale sempre e comunque quanto è scritto nell’articolo 11 della Costituzione italiana: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.
Dal momento che, a mio giudizio, stiamo violando apertamente, seppure indirettamente, il dettato costituzionale, ben vengano le manifestazioni di protesta anche se portano in sé qualche rischio di faziosità e di ricorso alla violenza di piazza. So di dirla grossa, ma preferisco correre questi rischi piuttosto che voltarmi dall’altra parte di fronte ai massacri in atto per non disturbare i manovratori, tra i quali, è inutile negarlo, il governo di Israele ricopre un ruolo di assoluto rilievo.