La crescita della durezza nelle invettive papali ex volo è direttamente proporzionale a quella delle trasgressioni etiche della società ex convivenza incivile: evidentemente papa Francesco è stanco di dispensare consigli e punta a distribuire pensieri forti. Lo sta facendo con molta spontaneità, con grande coerenza personale e con ammirevole onestà intellettuale.
È proprio su quest’ultimo aspetto del suo comportamento (l’onestà intellettuale) che mi soffermo. Nell’ultima conferenza stampa concessa durante il viaggio di ritorno dal Belgio, su sollecitazione dei giornalisti al seguito, ha affrontato tre temi estremamente delicati, gravi e attuali: l’aborto ridotto a metodica anticoncezionale, l’abuso sessuale dilagante a tutti i livelli, la guerra considerata uno strumento di pace.
A questi tre argomenti applico tre precisazioni fatte dal Papa. Inizio dall’aborto: la diversa valutazione etica fra il controllo delle nascite, vale a dire il più che accettabile preventivo modo di evitare il concepimento e l’inaccettabile modo di eliminare il concepito. Sul primo aspetto si può ragionare in una logica di maternità e paternità responsabile, sul secondo il discorso cambia e diventa purtroppo il cercare di rimettere nella bottiglia il latte versato senza nemmeno una lacrima di inquietudine. La piaga dell’aborto dovrebbe trovare un freno nelle scelte appropriate dei metodi anticoncezionali, nella valutazione attenta e solidale della drammaticità dei casi e nella responsabilizzazione della coppia genitoriale. Probabilmente papa Francesco sta prendendo atto della superficialità con cui il problema viene affrontato nell’ambito meramente burocratico della difesa sic et simpliciter della volontà della donna. Di qui la sua indignata considerazione dell’aborto come omicidio e conseguentemente, anche se un po’ spregiudicatamente, della complicità in omicidio di chi lo procura sul piano medico.
Non entro nel merito, l’ho già fatto tante volte, distinguendomi coraggiosamente dall’atteggiamento giustizialista della Chiesa cattolica. Mi basta in questa sede sottolineare l’onestà intellettuale del Papa, anche se sacrifica, almeno in parte, alla propria coerenza morale la compassione pastorale. Francesco non è un bigotto, non è un dogmatico, è un sofferto difensore della vita, a cui però sfugge qualche possibile passaggio problematico nell’esistenza delle donne chiamate a scegliere.
Riguardo agli abusi sessuali commessi da uomini di Chiesa ho apprezzato molto il rifiuto di nascondersi dietro il dito statistico, che mette la famiglia al primo posto della classifica degli abusatori. Anche un solo abuso, dice papa Francesco, grida vendetta al cospetto di Dio e richiede ferma e aperta condanna del responsabile, aiuto concreto all’abusato, accurato impegno ad evitare il protrarsi del pericolo. È un bel passo avanti rispetto al vittimismo rovesciato degli inizi, al salvataggio del salvabile con omertose coperture, al ridimensionamento del problema al fine di non affrontare tutti gli aspetti della tematica sessuale in capo ai componenti carismatici della Chiesa. Resta molto da fare per rimuovere alla radice l’esorcismo sessuale che fa rientrare il demonio dalla finestra della trasgressione dopo averlo fatto uscire dalla porta della casta costrizione.
Infine la guerra. Sempre immorale anche se considerata difensiva, sempre condannabile perché inevitabilmente la difesa diventa sproporzionata rispetto all’offesa. Non si può giudicare una guerra col bilancino, ma bisogna introdurre la bilancia a piatto unico della pace. Il Papa è l’unico capo religioso che prescinde totalmente dalla realpolitik, che non riserva trattamenti di favore, che non spacca il capello in quattro per non dispiacere troppo allo Stato X o Y. Nessuno lo ascolta sul serio e lui lo sa benissimo. Ciò non toglie che parli forte alle coscienze di tutti in modo che nessuno possa mai dire che la Chiesa ha taciuto come è purtroppo successo nella storia, lasciando solo ai volonterosi e ai martiri tenere accesa la lampada della pace.
Qualcuno si chiederà: non sarebbe meglio che il Vaticano operasse sotto traccia a livello diplomatico, facesse un po’ di laico silenzio e si guardasse in casa.
Il primo ministro dimissionario del Belgio, Alexander De Croo, ha annunciato che richiederà un colloquio con il nunzio apostolico in seguito alle dichiarazioni di papa Francesco sull’aborto durante la sua recente visita nel Paese. «Il mio messaggio sarà chiaro. Ciò che è successo è inaccettabile», ha detto De Croo in una sessione al Parlamento federale belga. L’appuntamento è stato già fissato, ma non è chiaro se si tratta di una “convocazione” ufficiale (che di solito però viene formulata dal ministero degli Esteri del Paese ospitante) o di un colloquio meno formale. Comunque sia, si tratta di una decisione forte da parte del politico belga. E non è la prima. Quando il Papa, durante la sua visita apostolica, ha incontrato le autorità belghe è successo infatti che De Croo, anche se era previsto solo quello del Re, ha voluto comunque rivolgere un saluto al Papa, esprimendo nell’occasione giudizi particolarmente duri sull’atteggiamento della Chiesa riguardo alla gestione degli abusi perpetrati da chierici («La dignità umana è prioritaria e non gli interessi dell’Istituzione. Per poter rivolgere lo sguardo in avanti, la Chiesa deve chiarire il suo passato»). (dal quotidiano “Avvenire” – Gianni Cardinale)
Mio padre, con la sua abituale verve ironica, così sintetizzava lo scontro fra generazioni: «Quand j’éra giovvon a säve i véc’, adésa ch’a són véc’ a sa i giovvon…». Intendeva sdrammatizzare gli insopportabili schemi sociologici, che ci assillano con le loro sistematiche elaborazioni dell’ovvio. D’altra parte è come nella vita di coppia. Quando non c’è accordo, qualsiasi parola o azione è sbagliata. Meglio tacere e non fare nulla? È quanto, in fin dei conti, molti “falsi criticoni” desiderano ardentemente. Concludeva rassegnato: Con chil bàli chi, mi an so mai…».
La gag paterna si attaglia anche allo scontro fra clericalismo e laicismo: se il Papa tace vuol dire che non ha il coraggio di pronunciarsi, se si pronuncia sarebbe meglio che tacesse. É sempre la solita fola: c’è sempre un motivo per tacere. Papa Francesco ha scelto di parlare spiazzando un po’ tutti, come del resto faceva Gesù, anche se Gesù anziché partire dai principi si muoveva sul terreno onnicomprensivo dell’amore innanzitutto e dopo tutto. L’attuale papa non pretende di essere Gesù, anche in Belgio ha ammesso sinceramente di ritenersi il più grande dei peccatori. Quanto all’amore evangelico ce la sta mettendo tutta e la cosa mi commuove fino alle lacrime.