L’improvvisa ruminazione antimafiosa

Rita Dalla Chiesa indica Andreotti dietro la morte di suo padre: “Ucciso per un favore a un politico”. Rita Dalla Chiesa, ospite della trasmissione Rai “Tango”, parla della morte di suo padre, il generale assassinato a Palermo 42 anni fa. E parla di un politico che sta dietro l’omicidio. Pur non pronunciandone il nome (“c’è una famiglia, preferisco non farlo” dice Dalla Chiesa) il riferimento è inequivocabile, citando una frase che è sempre stata attribuita ad Andreotti: “Quel politico disse a mio padre che chi si metteva contro la sua corrente era un uomo morto”.

Devo innanzitutto ammettere che non ammiro più di tanto i famigliari delle vittime civili, che si buttano in politica lasciandosi, più o meno, strumentalizzare e utilizzando la scia tracciata dai loro congiunti. Discorso di carattere generale che vale anche per Rita Dalla Chiesa, ma non solo per lei, un andazzo che si verifica a destra e sinistra nel panorama politico italiano.

Fatta questa spietata, delicata e personalissima premessa, vengo alla confessione scoop di cui sopra, che, per la verità, non mi stupisce più di tanto.

Ho militato nelle file della Democrazia Cristiana, seppure molto lontano dalla corrente andreottiana, e posso testimoniare che all’interno del partito tutti sapevano dei legami di Giulio Andreotti con il mondo mafioso: si pensava non fossero diretti ma mediati, che fossero conseguenza di un approccio, pragmatico per non dire cinico, scettico per non dire omertoso, nei confronti della mentalità e dello stile mafiosi: Andreotti forse aveva la triste presunzione di riuscire a fare i conti  con una realtà da lui considerata imprescindibile e di contenerla alla meno peggio. Fin qui la vox populi democristiana.

Le vicende giudiziarie, a cui peraltro Andreotti non si è sottratto, hanno fatto emergere una realtà più gravemente complessa, pericolosa e compromettente, anche se la verità processuale è rimasta a mezz’aria tra prescrizioni di reato e assoluzioni con formula dubitativa e piena. Probabilmente gli era sfuggita di mano la situazione, non era riuscito a mantenere i taciti patti stipulati e “qualcuno” gliel’ha fatta pagare.

Nel recente e stupendo film di Marco Bellocchio sulla vicenda del rapimento e della morte di Aldo Moro, nella sua ipotetica confessione il prigioniero Moro ammette di avere sottovalutato e tollerato, in nome dell’unità e della necessità del partito, certe porcherie inammissibili che avevano sporcato la storia d’Italia e della Democrazia Cristiana. L’allusione a Giulio Andreotti era lampante.

Che a riprendere sbrigativamente il discorso dei rapporti tra mafia e Andreotti sia Rita Dalla Chiesa mi pone due questioni. Una comprensibilmente umana: la figlia che vuole fare un po’ di chiarezza sul sacrificio del padre, tirando in ballo, seppure in grave ritardo, chi ha avuto responsabilità nel mandare allo sbaraglio il generale. Lo posso ammettere ed accettare purché anche questo non diventi un esibizionismo piuttosto sgradevole. Le dichiarazioni di Rita Dalla Chiesa non possono avere riscontri oggettivi se non dalla narrazione dell’arcinota vox storica. Il resto quindi è patrimonio etico proveniente dal sacrificio del generale a prescindere dai sassi in piccionaia lanciati dalla figlia, che rischiano più di togliere che di aggiungere alla testimonianza del padre.

Una seconda riflessione piuttosto piccante è di carattere politico. Rita Dalla Chiesa si è mai accorta di fare parte di una forza politica nient’affatto esente da ombre in merito ai rapporti con il mondo mafioso? Se Giulio Andreotti era un politico spregiudicato, Silvio Berlusconi non era certo un ingenuo uomo di governo. E potrei continuare nella similitudine sul piano politico, storico e finanche giudiziario. Non lo faccio per carità e perché capisco che i legami famigliari possano fare premio sugli altri legami.

La pietra scagliata da Rita Dalla Chiesa non tiene conto dei peccati ascrivibili alla sua parte politica. E allora tutto perde mordente etico e significato storico. La fulgida testimonianza del generale Dalla Chiesa non ha bisogno di queste ricostruzioni, che sanno molto di ricerca di visibilità mediatica più che di verità storica.