L’irrispettosa compassione e la sdegnosa laicità

Gran Bretagna. Pregava vicino ai centri abortivi. Dopo l’arresto, scuse e risarcimenti. Si è chiuso con un risarcimento da 13mila sterline (circa 15mila euro) e pubbliche scuse della polizia la battaglia di Isabel Vaughan-Spruce, codirettrice dell’associazione March for Life Uk, per il diritto a pregare, in silenzio, per le donne che ricorrono all’aborto e per i bambini non nati. Libertà che le è costata già due arresti. Il primo risale a novembre 2022. La donna era raccolta in preghiera a 150 metri dalla Robert Clinic, una clinica per le interruzioni di gravidanza di Birmingham. Si era fermata all’esterno dalla “buffer zone”, la zona di cuscinetto creata per tenere alla larga i pro-life, quando è stata avvicinata dagli agenti della polizia delle West Midlands che, invocando il divieto a manifestare qualsiasi forma di «approvazione o disapprovazione» dell’aborto, l’hanno prima perquisita e poi arrestata. È seguito un processo che, a febbraio 2023, si è concluso con l’assoluzione. Poche settimane dopo, la situazione si è ripetuta

Un video diffuso dall’Alliance Defending Freedom, l’associazione conservatrice americana che ha assunto la difesa legale di Vaughan-Spruce, mostra chiaramente un agente che le si avvicina e le chiede: «Sta protestando?», “Sta pregando per i bambini non nati?». La donna gli risponde: «No, sto solo pregando in silenzio, nella mia testa, per chi sta soffrendo a causa dell’aborto». «Non lo può fare», l’ammonisce il poliziotto che, incurante delle precisazioni sull’esito del processo da poco concluso, l’arresta di nuovo. È a quel punto che è scattata la contro mossa: Vaughan-Spruce ha denunciato la polizia per due arresti illegittimi, detenzione arbitraria e violazione dei suoi diritti umani. Ne è seguita un’inchiesta di sei mesi che si è risolta a suo favore: la donna aveva ragione. Il dossier è stato chiuso e archiviato con tanto di scuse e risarcimento. «La preghiera silenziosa non è un crimine, nessuno dovrebbe essere arrestato semplicemente per i pensieri che ha nella sua testa – ha dichiarato l’attivista – eppure mi è successo due volte».

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Il ministero degli Interni si è per adesso limitato a sottolineare che «è priorità di questo governo proteggere i diritti delle donne» e fare in modo che «l’accesso legale ai servizi di aborto sia sgombro da molestie e intimidazioni». (dal quotidiano “Avvenire” – Angela Napoletano)

 

Parecchi anni or sono, quando andavo a fare visita ad una mia carissima cugina, ricoverata all’ospedale maggiore di Parma in stato di coma vegetativo, mi capitava di imbattermi all’entrata in un gruppetto di donne che recitavano ostentatamente il rosario in riparazione dei peccati riconducibili all’aborto. Mi davano un senso di tristezza e di pochezza. Per non mancare loro di rispetto frenavo l’impulso di interrogarle provocatoriamente: «Ma voi cosa sareste disposte a fare per una donna sull’orlo dell’aborto? Avreste il coraggio di ospitarla in casa vostra? Avreste la generosità di sostenerla economicamente in modo continuativo? Avreste la forza di aiutarla umanamente ad una scelta così difficile rispettandone la sofferta decisione? Sareste disponibili a fare qualcosa di concreto in aiuto di chi si trova ad affrontare situazioni estremamente difficili?».

Don Andrea Gallo ammetteva con sofferto realismo e concreta carità: «Non incastriamoci nei principi. Se mi si presenta una povera donna che si è scoperta incinta, è stata picchiata dal suo sfruttatore per farla abortire o se mi arriva una poveretta reduce da uno stupro, sai cosa faccio? Io, prete, le accompagno all’ospedale per un aborto terapeutico: doloroso e inevitabile. Le regole sono una cosa, la realtà spesso un’altra. Mi sono spiegato?».

Mi risulta che durante un colloquio tra papa Giovanni Paolo II e monsignor Hilarion Capucci, arcivescovo cattolico e attivista siriano, un personaggio controverso della vita religiosa e politica del Medio Oriente, sia stata presa in considerazione la drammatica situazione di monache stuprate per le quali si sarebbe posta l’eventuale possibilità dell’aborto. Monsignor Capucci era favorevole ad affrontare con grande flessibilità e realismo questi dolorosi casi. Il papa era drasticamente contrario ad ogni eccezione alla regola antiabortista. Ad un certo punto la tensione salì e il “trasgressivo” porporato chiese provocatoriamente al papa: «Ma Lei Santità crede di essere Dio?». Il papa, probabilmente preso alla sprovvista, non seppe rispondere altro che: «Preghiamo, preghiamo…».

È comodo pregare per o addirittura contro… È facile mettere a posto la coscienza snocciolando una cinquantina di avemaria e…chi ha il problema si arrangi… Non sopporto questo atteggiamento pseudo-religioso, lo giudico profondamente anti-cristiano. Negli Usa zelanti vescovi e cardinali volevano addirittura negare la comunione eucaristica a Joe Biden, reo di avere posizioni possibiliste sulla legislazione abortista. “Io non ho mai rifiutato l’Eucarestia a qualcuno” disse Papa Francesco. Lo ha ripetuto al Presidente degli Stati Uniti in persona, che qualche prelato del suo Paese vorrebbe bloccato da un diniego nel momento in cui si accosta al sacramento, causa la sua posizione sull’aborto.

Sul piano civile il diritto a pregare esiste tanto come il diritto ad abortire. Non sopporto che chi prega assuma l’atteggiamento presuntuoso e provocatorio verso chi esercita il diritto di abortire, così come non sopporto chi fa del diritto ad abortire una bandiera da sventolare contro chi si permette di sollevare problemi di coscienza per sé e per gli altri.

La preghiera è molto di più di un’arma di protesta politica contro la pur discutibile legalità, così come chi difende una legge non può considerare illegale la preghiera che non risponde ai canoni della legge. Sono due atteggiamenti settari, uguali e contrari nella propria intolleranza.

In questo caso, sotto sotto, chi prega ha la presunzione farisaica di essere dalla parte del giusto e di considerare peccatrici le altre persone; chi rifiuta sdegnosamente la preghiera altrui ha la presunzione laicista di considerare bigotte le altre persone.

Chi sono io per giudicare una donna che ricorre all’aborto e per farle cadere dall’alto una pelosa preghiera? Chi sono io per giudicare una persona che prega e metterne in discussione la buona fede? Posso ragionare con l’una e con l’altra con uguale rispetto e disponibilità al dialogo, togliendo di mezzo la presunzione e l’integralismo da entrambe le parti.

E se provassimo, come diceva don Andrea Gallo, a non incastrarci nei principi e ad affrontare le realtà con rispetto e solidarietà?!