Non nascondiamoci, tuttavia, che spesso prevale un certo gusto nell’affondare la lama nelle debolezze di coloro che hanno potere o svolgono ruoli di prestigio. Significa farli scendere dal piedistallo, renderli individui imperfetti e prede di mondane tentazioni come tutti noi. Alla fine, molti si dicono, non sono migliori, come pretendevano di essere. Una soddisfazione un po’ meschina, che diventa anche una deriva populista. Non conosco personalmente Piero Fassino.
Fino a ieri avrei detto che era un politico, insieme a numerosi altri, cui avrei affidato il mio portafoglio. Oggi, dopo la lapidazione preventiva che ne è stata fatta, tanti avranno un pregiudizio negativo, duro a morire, verso l’ex segretario dei Ds, ministro della Giustizia e sindaco di Torino. Comunque finisca la storia del presunto furto di un profumo. Ciò dovrebbe indurci a una maggiore cautela nell’immediato e a una responsabilità nell’informare con la stessa evidenza anche su sviluppi futuri, soprattutto se favorevoli all’interessato. “Avvenire”, non da solo, cerca di farlo. Ma possiamo migliorare il mondo della comunicazione solo con l’impegno di tutti, compresi utenti meno famelici di presunti scoop e disgrazie altrui. (dal quotidiano “Avvenire” – Andrea Lavazza)
Il caso Fassino, a prescindere dalla realtà dei fatti ancora tutta da verificare, induce effettivamente a serie riflessioni sui rapporti fra diritto alla privacy e diritto all’informazione, tra il dovere all’onorabilità dei politici e diritto degli stessi alla discrezione sui loro comportamenti privati, fra spietata critica e vera e propria cattiveria da parte dei media e della pubblica opinione.
Molto spesso nella mia vita mi chiedo, sul piano etico e finanche religioso, fin dove debba e possa arrivare il mio istinto critico e dove debba fermarsi per non (s)cadere nel pregiudizio o nella tendenza a giudicare e colpevolizzare sommariamente gli altri.
Forse, come lascia intendere Andrea Lavazza, stiamo un po’ tutti esagerando, confondendo i veri peccati mortali con le debolezze e le imprudenze, i giudizi temerari con i riscontri obiettivi, le proprie debolezze con quelle altrui, i diritti coi doveri, la chiarezza con la spietatezza, etc. etc.
La politica ci aggiunge del suo diventando una lotta senza quartiere verso l’avversario, trasformato in nemico da abbattere a qualunque costo e con qualunque mezzo, ostentando il privato quando fa propagandisticamente comodo e pretendendo di nasconderlo quando comporta un certo imbarazzo.
Viviamo in un mondo fasullo e drogato, in una politica mediatizzata all’inverosimile, in una società conflittuale sul nulla e indifferente verso il tutto, in una cultura evanescente e fuorviante, in un benessere che nasconde il malessere, in un malessere che si sfoga automaticamente sugli altri.
Diamoci una regolata. Basta vedere come non ci si renda conto di viaggiare ad una spanna dalla catastrofe nucleare: la pace non è il problema, ma un optional per gli ingenui. L’ecologia non è un obbligo, ma un diversivo a la page. La salute non è un imprescindibile diritto, ma una palla al piede di chi sta bene. Le elezioni europee non sono un test sulla volontà di proseguire il cammino dell’integrazione, ma il pretesto per una politicante kermesse.
Il tritacarne gossiparo è tale da confondere, ad esempio e volendo stare all’attualità, la clamorosa e contraddittoria difesa della posizione politica di Daniela Santanché, l’inquietante condanna giudiziaria di Gianfranco Fini con la quale probabilmente egli paga il distinguo rispetto al berlusconismo a suo tempo imperante, la inspiegabile ed oscillante ondata di guai giudiziari e successi politici di Vittorio Sgarbi e la curiosa e marginale disavventura di Piero Fassino: tutti ladri, tutti stupidi, finendo col coprire tutto con un velo di paradossale pietoso frastuono. La storia peraltro insegna come i regimi usino l’arma del discredito degli avversari per confondere le acque limacciose in cui guazzano.
Mi sono onestamente chiesto: se l’incidente capitato a Fassino fosse successo a un esponente di un partito di destra, mi sarei altrettanto rammaricato per il clamore mediatico? Penso di sì. Sono troppo grandi gli insegnamenti impartitimi dai miei genitori e riguardanti il rispetto delle persone a prescindere dalle idee politiche. Detesto il fascismo proprio perché non rispettava la vita delle persone contrarie alla sua ideologia.
Il berlusconismo, fra i tanti disastri combinati, ha sicuramente avvelenato il clima politico, trasformandolo in un ring mediatico in cui siamo ancora inseriti. Ecco perché nel corso della vita di questo pseudo-regime mi chiedevo con insistenza se si trattasse di un ritorno, sotto mentite spoglie, al fascismo. Domanda che purtroppo mi pongo anche oggi di fronte ad un governo di destra illiberale, populista e sovranista. Il clima politico è causa di molte anomalie comportamentali e sociali. Non vorrei che tra gli anticorpi messi in atto dalla destra al potere ci fosse anche questo scivolamento nei colpi bassi della bassa politica (ci sta anche e soprattutto il discredito dell’avversario), in cui alla fine vince chi ha in mano il controllo dell’informazione e dei processi istituzionali.
Forse nella mia analisi sto cadendo dalla padella di una socialità malata alla brace di una politica aggressiva e divisiva al massimo. Reagire al pur esistente clima di caccia alle streghe può essere confuso con la subdola volontà di coprire gli altarini. E allora? Non resta che fare appello al senso di responsabilità, nel pretendere il rispetto dei diritti di tutti, partendo però dai doveri di ognuno.