Il numero dei bambini morti a Gaza è “senza precedenti e sconcertante”: lo ha detto alla Tass, Philippe Lazzarini, commissario generale dell’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente (Unrwa) in un’intervista esclusiva. “In sei mesi sono morte più di 30.000 persone”, un numero che Lazzarini ritiene plausibile, forse addirittura sottostimato. “Non sono sicuro che questo numero copra tutti coloro che sono ancora sotto le macerie. In realtà, il bilancio delle vittime potrebbe essere ancora più alto o sproporzionatamente più alto”. E poi ha continuato: “Sappiamo che tra i morti ci sono 13mila bambini. Sappiamo che a Gaza sono morti più bambini in sei mesi che in tutti i conflitti del mondo negli ultimi quattro anni. Quindi un bilancio che è senza precedenti e sconcertante, sia in termini di dimensioni che in termini di livello di distruzione”. (RaiNews.it)
Di fronte a questi macabri bilanci diventano ridicole le nostre beghe politiche e ancor più inaccettabili le narrazioni che giustificano la vendetta “strasproporzionata” di Israele contro la terroristica e bestiale violenza di Hamas per interposti palestinesi, così come le disquisizioni sul fatto che a Gaza sia o meno in atto un vero e proprio genocidio. La storia ci sta presentando un tragico sostanziale paradosso al di là della precisione terminologica: un popolo è stato sterminato (Shoah) e poi lo Stato sorto dalle ceneri dello sterminio si rende responsabile a sua volta di un genocidio (o roba del genere comunque ingiustificabile). Cose che fanno ribollire il sangue e che smentiscono i sacrosanti propositi del “mai più Shoah”.
Secondo i media israeliani, gli Stati Uniti stanno prendendo parte a un disperato sforzo diplomatico per impedire alla Corte penale internazionale (Cpi) di emettere in settimana mandati di arresto per il premier Benyamin Netanyahu, il ministro della Difesa Yoav Gallant e il capo dell’Idf Herzi Halevi.
Il sito di notizie Walla aggiunge che Netanyahu ha fatto telefonate continue durante il weekend cercando di convincere gli Usa a bloccare qualsiasi decisione della Cpi. (Ansa.it)
Siamo a questo punto. Speriamo che dove non arriva la diplomazia internazionale, arrivi almeno la Corte penale internazionale. Possibile che in Israele si sia scatenata una simile follia distruttiva? Il pazzo scatenato è Netanyahu con i suoi più stretti collaboratori o si tratta di una follia diffusa esplosa all’indomani dell’attacco di Hamas? La guerra è una droga collettiva che ha da sempre garantito l’appoggio diretto o indiretto dei cittadini alle avventure belliche più drammatiche e paradossali.
Ci sono però anche altri narcotici che ci vengono regolarmente somministrati per tenere a freno ogni e qualsiasi insurrezione delle coscienze: la rassegnazione verso i più bestiali istinti bellici e l’indifferenza verso gli equilibri internazionali basati sulle armi.
Chi protesta viene considerato un sovversivo o un amico del giaguaro: succede in Italia e anche negli Usa. Le forze politiche sono appiattite sullo status quo, non osano ribellarsi alla logica in cui sono inserite. Si parla di altro o, se si parla di guerra, la si accetta come una sorta di evento ineluttabile. A mio giudizio il discorso guerra-pace è diventato un discrimine, un argomento paradossalmente divisivo, dovrebbe essere un punto unificante invece…
Di ritorno dalla toccante visita al sacrario di Redipuglia mio padre si illudeva di convertire tutti al pacifismo, portando in quel luogo soprattutto quanti osavano scherzare con nuovi impulsi bellicosi. «A chi gh’à vója ‘d fär dil guéri, bizògnariss portärol a Redipuglia: agh va via la vója sùbbit…». Pensava che ne sarebbero usciti purificati per sempre.
Mia sorella Lucia andava profondamente in crisi di fronte alle immagini dei bimbi denutriti o morenti: si commuoveva, pronunciava parole dolcissime di compassione e spesso si allontanava dal video non reggendo al rammarico dell’impotenza di fronte a tanta innocente sofferenza. Sì, perché il cuore viene prima della mente, la sofferenza altrui deve essere interiorizzata prima di essere affrontata sul piano della concreta solidarietà e della risposta politica. Chissà cosa direbbe dell’inferno di Gaza.
Evidentemente, con la guerra, le sue cause e le sue conseguenze, la mia famiglia ha un conto storico sempre aperto. La filosofia spicciola era ed è la seguente: “As pôl där c’agh sia ancòrra adl’ genta ca vôl fär dil guéri, robi da mat…”.