Viva commozione, non solo ad Oderzo, il suo paese, per la morte di “mamma coraggio”. Voleva a tutti i costi avere, anzi donare un figlio. Azzurra Carnelos è morta il 13 aprile per un tumore al seno. Le era stato diagnosticato nel 2019. Lo aveva sconfitto una prima volta. Ma “il” male è tornato in forma più aggressiva. E Azzurra, quando l’ha scoperto, era incinta. Ha portato avanti la gravidanza, scegliendo di interrompere le terapie. Temeva infatti che le chemioterapie le impedissero di diventare mamma. Il bimbo raggiunge le 32 settimane e viene fatto nascere. Il figlio, Antonio, oggi ha 8 mesi. E ci si può solo immaginare come la mamma se lo sia coccolato.
(…)
Si dice commosso il vescovo di Vittorio Veneto, monsignor Corrado Pizziolo. «Questa è una vera e propria pagina del Vangelo. Azzurra ha dato la vita per gli altri, per suo figlio. Ci raccogliamo in preghiera per lei, ringraziandola per questo grande dono: una lezione di vita che testimonia ancora della grande capacità di amore che vivifica tante nostre famiglie». Il vescovo esprime poi «tutta la sua vicinanza al marito, ai genitori, alla famiglia». E ringrazia pure loro per la «grande lezione di umanità dimostrata accompagnando Azzurra verso questa drammatica esperienza. Sì, è proprio vero – conclude -: non c’è amore più grande che dare la vita». (dal quotidiano “Avvenire”)
Sono sicuro di urtare la sensibilità di molti cattolici (anch’io sono indegnamente cattolico), ma non posso esimermi dall’esprimere, assieme all’ammirazione per l’eroica scelta di questa donna, una preoccupazione, oserei dire, universale. Non vorrei infatti che la giusta “santificazione” di Azzurra Carnelos suonasse come ingiusta “demonizzazione” delle donne che, per tanti e diversi motivi, arrivano alla scelta di abortire.
La difesa della vita è un principio non da enfatizzare in modo dogmatico, ma da concretizzare in modo caritativo. Esiste il diritto a nascere del concepito, ma esiste anche quello a vivere della madre. Chi stabilisce la priorità e la prevalenza dell’uno sull’altro se non la coscienza delle persone coinvolte (donna in gravidanza e uomo ingravidante), aiutate dalla vicinanza, comprensione e solidarietà della comunità?
Certamente Azzurra Carnelos ha dato la precedenza al nascituro, sacrificando il proprio diritto alla cura e alla vita. Mi sento un verme per tutte le volte che non ho saputo sacrificare nulla a favore della vita altrui compromessa in tanti modi e, se vogliamo, per non avere fatto nulla per aiutare le madri in difficoltà. Questa dovrebbe essere la lezione da raccogliere a livello di singoli e di comunità cristiana e civile.
Non mi sento però di spingermi a giudicare e tanto meno a criminalizzare le donne che arrivano alla decisione di abortire: non credo che nessuna di esse la adotti allegramente, ma con estrema sofferenza, che rischia di perdurare nel tempo.
Non accetto nemmeno l’enfatizzazione più o meno femminista del diritto ad abortire: diamo libertà alle donne, ma aiutiamole contemporaneamente e rispettosamente a scegliere per il meglio, che non è a priori né l’accettazione della maternità a tutti i costi, né il suo rifiuto senza valutarne i costi.
Ripeto quanto diceva don Andrea Gallo: mi sembra la geniale e laicamente evangelica sintesi del modo di affrontare il problema. «Sta’ a sentire, non incastriamoci nei principi. Se mi si presenta una povera donna che si è scoperta incinta, è stata picchiata dal suo sfruttatore per farla abortire o se mi arriva una poveretta reduce da uno stupro, sai cosa faccio? Io, prete, le accompagno all’ospedale per un aborto terapeutico: doloroso e inevitabile. Le regole sono una cosa, la realtà spesso un’altra. Mi sono spiegato?».
Mi risulta che durante un colloquio tra papa Giovanni Paolo II e monsignor Hilarion Capucci sia stata presa in considerazione la drammatica situazione di monache stuprate per le quali si sarebbe posta l’eventuale possibilità dell’aborto. Monsignor Capucci era favorevole ad affrontare con grande flessibilità e realismo questi dolorosi casi. Il papa era drasticamente contrario ad ogni eccezione alla regola antiabortista. Ad un certo punto la tensione salì e il “trasgressivo” porporato chiese provocatoriamente al Papa: «Ma Lei, Santità, crede di essere Dio?». Il papa, probabilmente preso alla sprovvista, non seppe rispondere altro che: «Preghiamo, preghiamo…». Mi sembra che pregare non basti, bisogna farsi su le maniche e condividere i drammi di una scelta, per far sì che, comunque ed in ogni caso, sia a favore della vita.