Si moltiplicano in tutta Italia le manifestazioni degli Atenei contro le collaborazioni accademiche con Israele, una forma di protesta per la guerra scatenata da Tel Aviv sulla Striscia di Gaza negli ultimi sei mesi, subito dopo le stragi di Hamas del 7 ottobre scorso. La primavera delle università italiane si preannuncia caldissima, con l’università di Firenze e quella di Pisa che si uniscono alla richiesta di Torino e della Scuola Normale di boicottare il bando Maeci tra Israele e Roma. E mentre a Napoli un gruppo di studenti ha occupato il rettorato della Federico II di Napoli, mesi dopo un blitz analogo alla Orientale, a Roma si tengono flashmob e assemblee. (da “Open”)
“La ricerca scientifica è globale per natura. Pensare di costringerla in qualche gabbia di ordine politico è puro irrealismo. I veri scienziati finiscono col comunicare, confrontarsi, dibattere al di là di ogni norma venga loro imposta da fuori, magari fingendo di obbedirvi. Può piacere o no, ma lo spirito scientifico vola dove vuole. È patetico pensare che qualche occasionale ostacolo nel rapporto tra questo o quell’Ateneo possa significare qualcosa”. (da Huffpost – intervista a La Stampa rilasciata da Massimo Cacciari)
Siamo alle solite: combattere la guerra val bene un freno agli scambi culturali e scientifici? Servono alla causa della pace le sanzioni in questo campo? Sono portato a considerare la pace come un bene assoluto a cui si può e si deve sacrificare tutto. Ma che pace sarebbe quella garantita dalla mancanza di scienza e cultura? La pace dei sepolcri! La pace si alimenta proprio con il dialogo e il confronto culturale e scientifico. Penso abbia ragione Massimo Cacciari nell’auspicare un aumento degli scambi scientifici, scommettendo, almeno a medio e lungo termine, sul loro benefico effetto sulla politica, nonostante che la politica sia sempre pronta a strumentalizzare la scienza così come la scienza è purtroppo spesso pronta a farsi strumentalizzare.
Capisco gli ardori giovanili che si esprimono nella radicalizzazione dei rapporti, bene fanno i giovani a manifestare la loro repulsione verso il clima di guerra imperante nel mondo, ma interrompere gli scambi culturali è una contraddizione in termini. Intendiamoci bene, è inaccettabile ogni e qualsiasi intento di mettere la sordina alle sacrosante proteste dei giovani studenti e dei loro insegnanti, aggiungo come possa essere di giovamento far balenare il rischio di isolamento scientifico-culturale a certi Paesi per metterli di fronte alle loro responsabilità e alla loro dissennatezza bellicista. Ma, come si suole dire, un conto è parlare di morte un conto è morire: un conto è minacciare il boicottaggio delle collaborazioni accademiche, un conto è boicottarle.
Oltre tutto, come succede per le sanzioni economiche, si finirebbe col rafforzare l’orgoglio di questi Paesi e delle loro popolazioni, col danneggiare chi in questi Paesi dissente, con l’allargare il clima bellicista, con l’illudersi che per cambiare aria sia meglio espellere qualcuno dal consesso piuttosto che aprire le porte per far circolare aria pulita e genuina.
Mi permetto di spezzare una lancia a favore del dialogo a tutti i costi. Come sostiene con autorevolezza ed insistenza papa Francesco, i conflitti e le tensioni si risolvono con il dialogo.
Comprendo la buona fede di chi chiede la revisione di certi patti di collaborazione con chi si pone in una logica di guerra, ma la cultura non accetta regole di questo tipo e si finirebbe col gettare benzina culturale sul fuoco delle guerre. Meglio utilizzare l’acqua del dialogo anche se può sembrare troppo neutra e silenziata dal fragore delle armi.