Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha approvato lunedì la sua prima risoluzione per chiedere un immediato cessate il fuoco nella Striscia di Gaza. La risoluzione è stata approvata dopo mesi in cui i veti incrociati nel Consiglio, soprattutto di Stati Uniti, Russia e Cina, avevano bloccato qualsiasi decisione al riguardo.
La risoluzione ha ottenuto 14 voti a favore, tra cui quelli dei governi di Cina e Russia. La cosa più rilevante è stata però l’astensione degli Stati Uniti, il cui appoggio a Israele si era già indebolito nelle ultime settimane (tutti e tre i paesi, insieme a Regno Unito e Francia, sono membri permanenti del Consiglio di Sicurezza con potere di veto: significa che possono bloccare qualsiasi risoluzione).
A più di cinque mesi dall’inizio della guerra nella Striscia di Gaza, gli Stati Uniti hanno infatti cominciato a criticare con sempre maggior forza il modo in cui Israele sta conducendo la guerra, e soprattutto l’operato del primo ministro Benjamin Netanyahu, considerato uno dei principali ostacoli al raggiungimento di un cessate il fuoco nella Striscia. È una cosa rilevante perché fino a poco tempo fa il governo statunitense aveva sostenuto in maniera quasi incondizionata il governo israeliano.
Il Consiglio di Sicurezza è l’unico organo internazionale che può prendere decisioni che teoricamente sono vincolanti per tutti i paesi membri, Israele compreso. L’ufficio di Netanyahu ha criticato l’approvazione della risoluzione e in particolare l’astensione degli Stati Uniti, sostenendo che in questo modo verranno compromessi gli sforzi di Israele per liberare gli ostaggi trattenuti da Hamas. L’ufficio del primo ministro israeliano ha anche fatto sapere di aver cancellato la visita di una delegazione israeliana prevista per i prossimi giorni a Washington DC, negli Stati Uniti.
La risoluzione prevede un cessate il fuoco per il periodo del Ramadan, la ricorrenza più importante per le comunità musulmane nel mondo, che è cominciato tra domenica 10 e lunedì 11 marzo e si concluderà tra il 9 e il 10 aprile. Prevede anche la liberazione immediata di tutti gli ostaggi tenuti da Hamas nella Striscia di Gaza e invita Israele a fare di più per facilitare l’ingresso di aiuti umanitari nel territorio, dove ormai da settimane la crisi umanitaria in corso a causa della guerra è gravissima.
La risoluzione in teoria è vincolante: significa che, almeno sulla carta, Israele è obbligato a rispettarla. È comunque difficile che il governo di Netanyahu, che finora ha resistito a qualsiasi pressione per ridurre l’intensità della guerra a Gaza, possa effettivamente rispettarla.
Il testo era stato presentato dai dieci membri non permanenti del Consiglio di Sicurezza (che ovviamente non hanno potere di veto), dopo che ne era stata respinta una proposta dagli Stati Uniti che chiedeva un «cessate il fuoco immediato e duraturo». In precedenza il governo americano aveva posto il veto per tre volte sulla richiesta di un cessate il fuoco umanitario, immediato e definitivo nella Striscia di Gaza. Secondo alcuni diplomatici sentiti dal New York Times, gli Stati Uniti avevano proposto un emendamento al testo definitivo per sostituire «cessate il fuoco permanente» con «cessate il fuoco duraturo»: una formulazione più vaga e meno impegnativa per Israele, che però non è passata.
Le tre volte precedenti gli Stati Uniti si erano opposti a simili risoluzioni sostenendo che le richieste non rispettassero il diritto di Israele di difendersi. Lunedì la rappresentante degli Stati Uniti all’ONU, Linda Thomas-Greenfield, ha detto che quella approvata è in linea con gli sforzi diplomatici portati avanti dagli Stati Uniti, che però a suo dire si sono astenuti perché non in accordo con altre parti del testo: tra queste ci sarebbe il fatto che nella decisione non vengono condannati esplicitamente gli attacchi compiuti da Hamas lo scorso 7 ottobre. (da “Il Post”)
La risoluzione Onu non ha sortito alcun effetto, anzi. Israele ha continuato imperterrito la sua escalation bellica con azioni a vanvera, disgustose, meramente vendicative, al limite e forse oltre il limite del vero e proprio genocidio, volte proditoriamente e scriteriatamente all’allargamento del conflitto. Un dato emerge con estrema chiarezza: Israele è isolato nel suo testardo approccio alla pur difficile situazione venutasi a creare.
Che Benjamin Netanyahu sia vittima del proprio delirio di onnipotenza è sotto gli occhi di tutti. Altrettanto innegabile è che il premier israeliano abbia il pieno appoggio dell’establishment religioso. L’opposizione politica interna sembrava forte ed agguerrita a livello popolare, ma si sta affievolendo, così come anche quella etica degli israeliani sparsi nel mondo. Che il potere israeliano sia forte e possa esercitare ricatti nei confronti del mondo occidentale è cosa risaputa. Resta tuttavia alquanto difficile capire dove Netanyahu voglia parare chiudendosi in questo splendido (?) isolamento, che si sta sempre più verificando non solo a livello politico ma anche a livello etico e culturale.
Molto probabilmente vuole prendere disperatamente due piccioni con una fava: salvare e rafforzare la propria incerta leadership, collegandola alla storica e forse irripetibile chance di chiudere una volta per tutte la questione in senso drastico e punitivo nei confronti dei palestinesi, usando verso l’Occidente l’arma del ricatto economico-finanziario e sfruttando le distrazioni occidentali dovute alla guerra russo-ucraina. Se per Putin il conflitto israelo-palestinese serve a rimettersi in qualche modo in gioco (cosa che sta succedendo anche in conseguenza del rigurgito terroristico dell’Isis), per Netanyahu può essere l’occasione per sgattaiolare fuori dai giochi internazionali, regolando i conti non solo con Hamas ma con i palestinesi stessi.
C’è una variabile che potrebbe impazzire da un momento all’altro, buttando all’aria i subdoli piani israeliani: il mondo arabo. Se si dovesse mai legare una sorta di cordone tra Occidente, Stati arabi, Russia e Cina (magari favorito dal rientro di Trump alla Casa Bianca), Israele sarebbe veramente spacciato e costretto a ben più miti consigli. Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino. Ed è un’ipotesi che indebolirebbe anche la posizione dell’Ucraina ben più isolata di quanto non lo sia oggi. Sarebbe il peggior modo per ristabilire il (dis) ordine a livello mondiale. Israele e l’Ucraina lo mettano comunque in conto e non tirino troppo la corda.