Nuovi problemi politici in vista per Ursula von der Leyen. Il Parlamento Europeo farà causa alla Commissione Europea di fronte alla Corte di giustizia Ue. Si tratta di uno scontro legale tra istituzioni Ue senza precedenti, che vede al centro lo sblocco all’Ungheria di Viktor Orbán di 10 miliardi di fondi dell’Unione Europea (un terzo dei circa 30 bloccati per gravi violazioni dello Stato di diritto) che è stato deciso il 13 dicembre scorso dalla presidente della Commissione Europea, Von der Leyen.
È la decisione presa ieri dalla commissione Affari giuridici del Parlamento Europeo, con un’accusa grave: Von der Leyen avrebbe deciso lo sblocco parziale, pur in assenza del pieno adempimento degli impegni da parte di Budapest, solo per «convincere» il primo ministro ungherese a togliere il veto all’avvio del negoziato di adesione con l’Ucraina e al via libera al fondo da 50 miliardi, che sarebbe stato discusso poi al Consiglio Europeo di lì a pochi giorni. Il sì del premier magiaro sul primo punto è effettivamente arrivato a quel vertice, quello sul secondo al vertice straordinario di febbraio. Colpisce che gli unici a votare contro siano stati i gruppi politici degli euroscettici (che contano la Lega) e dei Conservatori (con Fratelli d’Italia).
Tutti gli altri hanno detto un sì compatto, dunque anche il Partito popolare cui appartiene Von der Leyen e che l’ha appena ricandidata alla guida della Commissione nella prossima legislatura. Altro segnale non troppo rassicurante per la presidente, dopo il modesto risultato ottenuto, al congresso del Ppe la scorsa settimana a Bucarest sulla sua candidatura al bis a Bruxelles, con oltre 200 voti (su 737 delegati) che le sono venuti a mancare. «Non possiamo permettere – tuona l’eurodeputato verde tedesco Sergey Lagodinsky – di continuare a dare a Orbán la possibilità di ricattare l’Ue e proseguire i suoi attacchi allo Stato di diritto, alla democrazia e ai diritti fondamentali nel suo Paese». «È la risposta a Von der Leyen», gli fa eco su X Daniel Freund, anche lui eurodeputato verde tedesco. Perché, ha poi aggiunto, «i 10 miliardi sono stati sbloccati senza le necessarie riforme. È un mercanteggio, soldi Ue in cambio della rimozione del veto, inammissibile nella Ue». (dal quotidiano “Avvenire” – Giovanni Maria Del Re)
Sembrerebbero minuzie al confronto dell’enorme massa di problemi bellici e migratori con cui l’Europa si trova a fare i conti, invece sono avvisaglie di approcci metodologici sbagliati e dai quali non può sortire niente di buono.
Un tempo, quando l’Europa politicamente era ancor meno unita di oggi, si parlava esclusivamente di “Mercato comune europeo”, il Mec, riguardante la regolamentazione dei rapporti fra gli Stati membri dal punto di vista dell’economia. Si era cioè partiti dalle questioni economiche, le più stringenti, per poi approdare a quelle politiche, le più delicate.
Quanto al mercato sembra di essere tornati indietro, con la precisazione che trattasi di un mercato misto economico-politico: sblocco di fondi all’Ungheria in cambio del nulla osta per l’adesione dell’Ucraina alla Ue e aiuti finanziari ad essa.
Due errori non fanno una cosa giusta: sbagliato sorvolare sulle violazioni ungheresi alla democrazia e allo stato di diritto; sbagliato impostare i rapporti con l’Ucraina in modo affrettato e pressapochistico senza alcuna garanzia sull’uso che verrà fatto degli aiuti finanziari (speriamo che non vadano a finire tutti in armi).
L’Europa aveva in mano la carta importante degli aiuti per indirizzare l’Ucraina verso una trattativa, per avviare a soluzione il conflitto con la Russia, invece, come sostiene l’esperto dell’Università di Padova Marco Mascia in un’intervista ad “Avvenire” a commento delle posizioni di papa Francesco, “ha commesso l’errore di appiattirsi sulle posizioni dell’amministrazione Usa, senza invece ritagliarsi uno spazio per mediare, tenendo conto del fatto che la Russia non sta dall’altra parte dell’Atlantico ma in Europa. L’Unione Europea ha piena legittimità nel difendere l’Ucraina dall’aggressione russa. Ma se si insiste sulla necessità di inviare armi all’Ucraina fino alla vittoria, si ammette che siamo in guerra anche noi contro la Russia. E senza una visione sui rapporti tra l’Europa e la Russia del dopoguerra”.
Dall’altra parte diamo una mano a Orban a trascinare nel fosso trumpiano tutta la UE e lo sdoganiamo dalle eclatanti violazioni ai principi democratici in Ungheria. Questo il capolavoro di Ursula e c. (Italia compresa). In fin dei conti si tratta proprio della tattica italiana e all’italiana di Giorgia Meloni: stare con l’Europa fino a mezzogiorno, nel pomeriggio confabulare con i sovranisti (non si sa mai che anche in prospettiva siano decisivi), di sera le carinerie con Joe Biden, di notte le eventuali scorribande con Donald Trump. I valori che stanno alla base dell’europeismo sono serviti, gli elettori che si recheranno alle urne voteranno a prescindere dall’Europa, l’unico a fare la figura dell’euroscettico sarà Matteo Salvini (meno Europa), il perbenismo europeo sarà salvo.
Il Parlamento europeo uscente ha avuto il timido scatto di reni di cui sopra, ma temo possa contare come il due di coppe e arrivi eventualmente a chiudere la stalla dopo che i buoi sono scappati.