Dalle due tornate elettorali regionali di Sardegna e Abruzzo non mi sento di trarre indicazioni sul divenire degli schieramenti politici: il destra-centro è bloccato sul discorso del premierato di fatto e di diritto, esiste sostanzialmente solo il partito di Giorgia Meloni, gli altri fanno da fastidioso (Lega) o irrilevante (Forza Italia) contorno, Fratelli d’Italia non è un partito ma la proiezione del governo, la classe dirigente è prevalentemente di diretta emanazione del premier stesso che se la sceglie e se la coccola; il centro-sinistra, ribattezzato campo largo (se si fa riferimento a Pd, M5S, verdi e sinistra) o addirittura larghissimo (se si comprendono anche Italia viva di Renzi, Azione di Calenda e +Europa di Bonino), è molto (troppo) articolato e rissoso e fa enorme fatica a trovare una comune base valoriale da trasfondere in un programma di governo condiviso.
Il collante del destra-centro è sempre stato il potere, mentre il centro-sinistra non riesce a mettere in campo una vera e propria alleanza strategica, si sta limitando a patti tattici che non hanno grande significatività politica.
Gli elettori percepiscono questa situazione e da una parte tendono a preferire uno “straccio” di alleanza pseudo-politica, dall’altra parte continuano a rifugiarsi nel non voto, laddove la protesta e l’indifferenza si mescolano in un cocktail più soporifero che inebriante.
L’unico discrimine colto e premiato dagli elettori sembra essere la qualità delle candidature: è stato così in Sardegna dove l’ottima candidatura del centro-sinistra ha fatto i conti con una pessima proposta meloniana a livello di governatorato regionale. Fin dove abbia prevalso la buona levatura di Alessandra Dotte oppure il basso livello di Paolo Truzzu è difficile da stabilire. In Abruzzo questa clamorosa forbice qualitativa si è ristretta: il candidato del campo largo era di qualità indubbiamente superiore, ma non tale da comportare fughe di votanti e allora è tornato di moda lo schema politico di cui sopra agevolato anche dallo schieramento a destra e sinistra degli esponenti governativi o comunque di prima grandezza a differenza di quanto era successo almeno a sinistra in Sardegna. Tra la modesta continuità amministrativa di Marco Marsilio e la professorale novità di Luciano D’Amico gli elettori hanno fatto una scelta di minore rischio.
Per formare, presentare e mettere alla prova una classe dirigente accattivante e motivante ci vuole il suo tempo e quindi il centro-sinistra farebbe bene a puntare in questa direzione, prendendosi il tempo necessario senza pretendere di scaravoltare l’elettorato a schede all’aria. Tutto sommato la consultazione abruzzese credo possa rappresentare una seconda tappa nel senso suddetto.
La gente coglie la povertà dei partiti politici e desidera misurarsi sulle persone: il partito democratico è quello che ha una maggiore possibilità di offerta personale e dovrebbe farla valere a tutti i livelli, pretendendola anche dagli alleati. Una sorta di berlingueriana questione morale riveduta e corretta, con l’onesta e la coerenza abbinate all’esperienza e alla competenza (non intese solo dal punto di vista professionale, ma anche politico).
Alessandra Todde aveva il pedigree in ordine, forse a Luciano D’Amico mancava qualcosa, quel quid che colpisce e trascina l’elettore serio e responsabile, che non si lascia infinocchiare tanto facilmente. Le idee camminano sulle gambe degli uomini: questo adagio di Pietro Nenni è più che mai attuale e imprescindibile. Occorre pazienza, formazione, selezione, sperimentazione. La cosiddetta prima repubblica visse sulla classe dirigente formatasi nella resistenza al fascismo, nelle scuole del partito comunista e nelle file dei movimenti cattolici. Piano piano questi serbatoi si sono esauriti e siamo piombati nella politica asservita agli affari ed al tirare a campare. Ricominciare daccapo non sarà facile, ma necessario. A meno che non ci si accontenti di fare l’appoggio o l’opposizione a sua maestà Giorgia Meloni.