Non è e non sarà una semplice indagine giudiziaria, tra l’altro con molti dei confini ancora da definire. Ma l’inchiesta di Perugia sul monitoraggio abusivo degli archivi informatici riservati di centinaia di persone – tra cui politici e vip – è destinato a diventare un caso di scontro politico. Non solo perché tra gli 800 accessi abusivi che, secondo la procura di capoluogo umbro, il finanziere Pasquale Striano in servizio alla Procura nazionale Antimafia ha eseguito nelle banche dati, compaiono molti politici o persone vicine al centrodestra.
Ma anche e soprattutto per il sempreverde dibattito sul confine della sfera della privacy (anche in ambito fiscale) anche quando si è un personaggio pubblico e sul diritto di cronaca. Perché infatti non è ancora del tutto chiaro perché il finanziere Striano abbia fatto centinaia di accessi abusivi (in alcune giornate anche più di 40), anche se per ora pare non siano stati creati veri e propri dossier. In alcuni casi sono state destinate – ritengono i magistrati – ad attività giornalistiche (tra i 15 indagati ci sono anche tre giornalisti del quotidiano “Il Domani”) e in altri per scopi non ancora chiari. Dagli accertamenti – l’indagine è ancora agli inizi – è intanto emerso però che Striano non ha ricevuto denaro a fronte dei presunti accessi illeciti alla banca dati. (dal quotidiano “Avvenire” – Alessia Guerrieri)
Abbiamo anche l’emergenza spie. Non ci facciamo proprio mancare niente. Che in Italia (non so all’estero) ci sia un sistema spionistico piuttosto allegro, diciamo pure all’italiana, è abbastanza noto e preoccupante. Nel caso in questione non ci si capisce dentro niente: perché sono state fatte queste incursioni nei sistemi informatici, da chi sono state decise ed eseguite, a quali banche dati si è fatto riferimento, quali sono stati i rapporti tra spie e stampa, quali e quanti di questi dati “rubati” sono venuti in possesso della magistratura etc. etc.
La domanda di fondo è se questo episodio dimostri o meno gravi falle nel sistema o sia semplicemente un caso di parziale e limitato impazzimento. Staremo a vedere in mezzo alla confusione che inevitabilmente si sta creando.
È indubbiamente inquietante il rischio che informazioni riservate vengano propalate per fini a dir poco opachi. Mi sembra che il sistema sia compreso fra due fuochi: da una parte le spie che approfittano per motivi inconfessabili delle informazioni a loro più o meno legittimamente accessibili; dall’altra i personaggi spiati appartenenti soprattutto al mondo politico (ma non solo), spaventati e con le loro code di paglia.
Non è bello avere sul capo la cappa spionistica, ma è pur vero che “male non fare, paura non avere…”. Sono molte le galline che cantano e danno l’impressione di avere fatto l’uovo.
Le spie ci sono sempre state, sono persone vomitevoli, forse le peggiori in assoluto. Chi fa la spia non è figlio di Maria, non è figlio di Gesù, quando muore va laggiù, va laggiù da quell’ometto che si chiama diavoletto.
A destra si grida sconclusionatamente al complotto, a sinistra si difende, a spada un po’ troppo tratta, la libertà di stampa. La politica c’entra sempre, in questo caso soprattutto per la strumentalizzazione vittimistica che si sta facendo del caso. Di personaggi chiacchierati nel governo ce ne possono essere. Lasciamo al Capo dello Stato la verifica preventiva, al Parlamento la fiducia possibilmente non faziosa, alla Magistratura l’indagine su eventuali reati, alla stampa la valutazione dell’interesse pubblico all’informazione prevalente o meno sul diritto alla privacy, al Governo stesso la vigilanza sui servizi segreti ed il loro problematico ambaradan senza pretendere che diventino pubblici.
Su tutto comunque, e fortunatamente, incombe il dettato costituzionale, che all’articolo 54 recita:
“Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi.
I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge”.
Il primo comma è scritto anche per chi opera nei servizi segreti e per chi ha a che fare con informazioni riservate in qualsiasi modo e livello. Per evitare che diventino degli “spioni”.
Il secondo comma calza a pennello per chi è impegnato in politica e in funzioni pubbliche. In una parola per i potenziali “spiati” affinché sappiano regolarsi.