È talmente goffa e clamorosa la sconfitta della destra alle elezioni regionali della Sardegna da insospettire gli osservatori più attenti e da bloccare sul nascere le illusioni della sinistra alle prese col suo campo largo. La vicenda ha tutto l’aspetto di una prova di forza interna alla destra (il centro non esiste in quella coalizione) per verificare la resistenza degli alleati rispetto allo spadroneggiamento della smisurata leadership meloniana.
Saremmo cioè in presenza del velleitario teorema del “qui comando io”. In matematica, si dice ipotesi nell’enunciazione di un teorema la proprietà che si suppone già vera e dalla quale, mediante la dimostrazione, si deducono altre proprietà che costituiscono la tesi. Nel nostro caso politico l’ipotesi sarebbe quella che Giorgia Meloni ha la stoffa del leader, ragion per cui a livello politico interno e internazionale si cercano altri elementi tali da legittimare la cosiddetta “capocrazia” meloniana.
La Sardegna è stata banco di prova di uno di questi elementi probatori, vale a dire la capacità di imporre candidature e di farle bere agli alleati e subire dagli elettori. La cosa non ha funzionato: gli alleati hanno chinato il capo obtorto collo, ma gli elettori evidentemente si sono ribellati e hanno risposto picche.
Quando si mette in scena un’opera lirica ci sono le prove: d’orchestra, di palcoscenico, di regia, d’assieme, ma prima ancora si fanno le prove di sala, al pianoforte coi cantanti che ripassano le loro parti sotto l’attenta supervisione del maestro concertatore. In Sardegna la maggioranza di governo ha tenuto una prova di sala ed è stata un autentico disastro. In teatro si cambierebbero in tutto o in parte gli interpreti, attualmente in politica al massimo si cambia un comprimario. Lo spettacolo è comunque andato in scena e il pubblico ha sonoramente fischiato. Magari scaricheranno le colpe sul sindaco di Cagliari Paolo Truzzu, un candidato/comprimario che brillava di luce riflessa: era stato individuato da Giorgia Meloni e mandato allo sbaraglio per rompere i coglioni alla Lega che voleva ricandidare l’uscente Christian Solinas. Non cambierà di certo il direttore d’orchestra e nemmeno cambieranno gli interpreti principali. Matteo Salvini continuerà a svolgere il ruolo di estemporaneo e inconcludente “trovarobe”, Antonio Tajani quello di comparsa di lusso.
Non mi interessa più di tanto l’eventuale piccola e masochistica vendetta leghista che tuttavia potrebbe aver avuto il suo peso sull’esito elettorale. Mi preme di più valutare se nel comportamento elettorale dei cittadini della Sardegna ci sia stato un rigurgito di sana e realistica presa di coscienza, che potrebbe rappresentare un messaggio per l’intero territorio nazionale.
Temo proprio di no. Propendo per un semplice incidente di percorso, per una sorta di momentanea indigestione di potere che si è sfogata nel vomito sardo: esperimento non riuscito, la prossima volta staremo più attenti, andremo più cauti, troveremo la quadra e tutto andrà a posto.
C’è stato indubbiamente un piccolo scricchiolio nel castello della destra al governo del Paese, ma non certo un terremoto tale da imporre una revisione sostanziale nella costruzione in atto. Dirò di più: potrebbe essere addirittura una sconfitta salutare per chi l’ha subita e negativa per chi ne ha usufruito.
Giorgia Meloni potrebbe tornare coi piedi per terra, rappacificarsi con gli alleati senza speculare troppo sulle loro debolezze, riprendere il feeling con gli elettori, somministrando loro un’ulteriore dose di qualunquismo, mentre invece il centro-sinistra potrebbe illudersi di avere risolto tatticamente le proprie debolezze strategiche.
Il popolo italiano non è né di destra né di sinistra, è soltanto allo sbando, si attacca alla prima ciambella di salvataggio che gli capita a tiro e prima di mollarla ci deve pensare due volte: la prima volta potrebbe essere quella della Sardegna, ma ne servono altre molto più convincenti e consistenti. Il mestiere della sinistra non è quello di fornire ciambelle o scialuppe di salvataggio, ma di insegnare a nuotare partendo da una piscina valoriale per poi affrontare il mare con una carta nautica fatta di diritti e doveri, la Carta Costituzionale!
Mi concedo un tuffo nel passato. Nel 2000 il governo D’Alema cadde dopo la sconfitta del centro-sinistra alle elezioni regionale, nel Veneto in particolare: altro mondo, altra sensibilità politica, altra situazione. Preferirei la debolezza politica di quei tempi alla prepotenza politica dei giorni nostri. Ma, come noto, io sono un nostalgico. Non faccio però saluti alla romana, ma mi permetto di rimpiangere il periodo in cui andare in crisi non era sintomo di mera debolezza, ma consapevolezza delle proprie responsabilità.