Julian Paul Assange è un giornalista, programmatore e attivista australiano, cofondatore e caporedattore dell’organizzazione divulgativa Wikileaks. Cos’ha fatto di male per essere da anni nei guai giudiziari e per rischiare l’estradizione negli Usa e conseguenti condanne ad oltre cento anni di carcere se non addirittura la pena di morte per “spionaggio” e “furto di informazioni riservate”?
Non ho colpevolmente seguito questa vicenda, ma mi sono fatto un’idea. Questa persona, in modo più o meno corretto, ha comunque avuto il coraggio di scoperchiare la pentola statunitense facendone fuoruscire il marcio, vale a dire le malefatte americane riguardanti le guerre in Afghanistan, in Iraq, il lager di Guantanamo e gli scandali e le uccisioni stragiudiziali con i droni in luoghi come il Pakistan.
Sono fermamente convinto di vivere in una sorta di democrazia virtuale all’ombra della quale esiste un mondo “altro” fatto di porcherie a tutti i livelli di cui gli Usa sono non unici ma notevoli protagonisti: non si tratta di cose di poco conto, ma di crimini di guerra ed altri misfatti sparsi nel globo terrestre.
È naturale che chi osa far emergere queste verità ultra-scomode rischi la vita. Noi galleggiamo su un mare di falsità spacciate per necessarie illusioni di verità. Capiamo di essere ingannati, ma, tutto sommato, ci viene bene così. Meglio becchi che bastonati.
Mio padre dava una interpretazione colorita e semplice delle situazioni aggrovigliate al limite della legalità. Diceva infatti con malcelato sarcasmo: «Bizoggna butär in tazér parchè a s’ris’cia ‘d mandär in galera dal comèss fin al sìndich, tutti invisciè…». Se volete, una sorta di versione da osteria della visione affaristico-massonica del nostro mondo.
Non ho idea di come finirà la vicenda Assange: è prigioniero a Londra e capirete se l’Inghilterra oserà fare uno sgarbo agli Usa negando l’estradizione. Ho l’impressione che nessuno abbia il coraggio di schierarsi: tutti attendono la legatura dell’asino dove vuole il padrone. Può darsi che trovino una soluzione che salvi le capre della più spudorata realpolitik e i cavoli della finta democrazia.
Certo questo sasso in piccionaia è arrivato da tempo e nulla è cambiato: un po’ di baccano e poi tutto come se niente fosse. Qualcuno fa un temerario parallelismo fra il caso Assange e il caso Navalny. Due modi formalmente diversi ma sostanzialmente analoghi di mettere gli scheletri negli armadi o meglio di scheletrire chi dà fastidio per poi ficcarlo negli armadi della addomesticata narrazione storica.
In fin dei conti che differenza c’è fra le assordanti cazzate di Matteo Salvini sulla inquietante fine di Navalny e l’assordante generale silenzio sul caso Assange? Salvini, per un piatto di lenticchie elettorali, nega l’evidenza; il resto del mondo, pur di stare seduto alla tavola imbandita, nega l’ingiustizia globale.