La morte di Alexei Anatolievich Navalny, attivista, politico e blogger russo, uno dei più noti oppositori del presidente della Russia, Vladimir Putin, duramente condannato ed incarcerato per motivi politici, non sarà mai chiarita nelle sue vere cause, ma è comunque chiara nella sua provenienza dal regime e nel suo significato politico. La Russia è caduta dalla padella comunista nella brace putiniana, in un regime che ha perfettamente assemblato tutti i difetti dei vari regimi anti-democratici possibili e immaginabili. L’invasione dell’Ucraina non è che una delle conseguenze.
Restano aperti alcuni inquietanti interrogativi sul passato, sul presente e sul futuro.
Il primo riguarda l’atteggiamento possibilista tenuto in passato dall’Occidente nei confronti di questa storico macellaio, che si chiama Vladimir Putin (non mi riferisco alle simpatie di Salvini che fanno parte del folklore geopolitico, ma a cose di ben altro livello ed altra portata). Era ingenuità democratica? Era piuttosto realpolitik? O era opportunismo affaristico internazionale? Di tutto un po’. Abbiamo dialogato e confabulato troppo con questo personaggio inqualificabile (senza peraltro concludere niente di sostanzioso) e non escluderei che lui abbia in mano importanti armi di ricatto verso chi oggi si sta schierando apertamente e fin troppo convintamente contro la sua Russia.
Adesso intendiamo metterci a posto la coscienza armando a dismisura l’Ucraina per farne carne atta a dimostrare la peraltro lapalissiana macelleria putiniana. È tardi! Ed è anche sbagliato sul piano tattico (meglio sarebbe costringerlo al confronto diplomatico e non mi si dica che sia impossibile) e sul piano strategico (non basta andare contro Putin, ma bisognerebbe stringerlo nella morsa Usa-UE-Cina).
Il secondo interrogativo riguarda l’opposizione interna al regime russo. Ho l’impressione che non ci sia granché né a livello culturale né a livello politico. Il delitto Matteotti, a cui assomiglia quello ai danni di Navalny, non fece scalpore perché il regime fascista era fortissimo e seppe metabolizzarlo con una certa facilità. Temo possa essere la stessa cosa per il regime putiniano: si è permesso un gesto criminale clamoroso e, se ciò mai dimostra una certa qual paura verso la nascita di un’opposizione strisciante, risulta emblematico anche e soprattutto di una prova di forza attualmente vincente (fino a quando non so). Non capisco poi quanta credibilità effettivamente avesse Navalny e quanta presa potesse avere sulla popolazione russa: probabilmente darà più fastidio da morto che da vivo. C’è da augurarselo in modo un po’ troppo cinico.
La terza considerazione riguarda le caratteristiche fondamentali di questo regime. Credo che al di là degli schemi della democratura (elezioni e istituzioni burla), del populismo (un male antico e moderno), del sovranismo (la grande Russia) e chi più ne ha più ne metta, si tratti di una vera e propria mafia sistemica e totalitaria da cui è oltre modo difficile liberarsi culturalmente prima e più che politicamente. Purtroppo, dal momento che ogni Stato alleato o competitor, anche quelli democratici occidentali, ha al proprio interno una sua mafia, risulta quasi impossibile attaccare quella russa i cui tentacoli molto probabilmente si spingono fino a quelle di casa nostra. Vedo cioè una drammatica piovra internazionale in cui Putin naviga a meraviglia.
Attenzione perché l’eventuale vittoria di Trump negli Usa potrebbe portare ad una sorta di armistizio mafioso con Putin ed anche la Cina potrebbe respirare a pieni polmoni mafiosi, attualmente disturbata dai casini bellici internazionali: una sorta di equilibrio globale mafioso, che potrebbe rappresentare la versione riveduta e scorretta della guerra fredda. E forse la mafia putiniana potrebbe uscirne indebolita e condizionata se non addirittura devitalizzata. Ecco ha che punto di sciagurate prospettive siamo arrivati.