Il corporativismo è una dottrina che propugna l’organizzazione della collettività sulla base di sodalizi rappresentativi degli interessi e delle attività professionali (corporazioni). Esso propone, grazie alla solidarietà organica degli interessi concreti e alle formule di collaborazione che ne possono derivare, la rimozione o la neutralizzazione degli elementi conflittuali: la concorrenza sul piano economico, la lotta di classe sul piano sociale, la differenziazione ideologica sul piano politico. (da “Dizionario di politica” di Norberto Bobbio, Nicola Matteucci e Gianfranco Pasquino)
Nell’attuale sistema basato sull’economia del consumo, si forma sì, un (sotto) proletariato, ma ai margini della società, come “rifiuto”, “non certo come scuola di solidarietà e di fratellanza, ma come fonte di inquinante turbolenza in quelle discariche che sono diventate le periferie metropolitane. La massa del ceto medio, quello che meglio si definirebbe il ceto di massa, condivide con l’élite plutocratica valori privati.
La destra Berlusconiana, per la verità non solo essa, adottò questa nuova strutturazione sociale ed all’ordinamento corporativo sostituì “l’ordinamento privatistico”, mettendo al centro della scena politica, al posto della questione sociale, la questione fiscale vale a dire il conflitto tra Stato e contribuenti, non dando una risposta lineare e razionale alle tensioni con un progetto di emancipazione, ma coltivando gli interessi e le pulsioni che la dividono e la gerarchizzano. Non so se tutto ciò possa chiamarsi “nuovo corporativismo”.
L’attuale governo, in cui la destra berlusconiana conta come il due di coppe, ha indubbiamente ripreso in un certo senso il vecchio corporativismo, per meglio dire quello classico: Fratelli d’Italia e Lega si misurano su questo concetto. La società, come dice Pier Luigi Bersani, viene fatta a fette, e così si cerca di dare risposte alle diverse corporazioni: esempio clamoroso il settore delle libere professioni vezzeggiato a suon di condoni e flat tax.
La leva fiscale è lo strumento principale con cui operare in tal senso: l’interesse generale va a farsi benedire e le diverse categorie si illudono di avere la botte piena e la moglie ubriaca. Senonché, prima o poi, l’inganno può venire a galla. È quanto sta succedendo per gli agricoltori, toccati nel vivo dal mercato e penalizzati rispetto alle tradizionali e consistenti agevolazioni fiscali e finanziarie.
Sul mercato il governo italiano può fare ben poco, l’unico attore politico che può influenzarlo è l’Unione europea. E allora tutti addosso alla UE e alle sue scelte peraltro condivise, a volte con una certa fatica, dai governanti italiani.
Gli agricoltori si trovano senza punti di riferimento: avevano sperato nel governo di centro-destra, ma da lì arrivano addirittura tasse; avevano pensato che Fratelli d’Italia e Lega rispolverassero in qualche modo i principi corporativi assegnando alla corporazione agricola più spazio e più potere.
Le cosiddette forze intermedie nicchiano, sono legate a schemi da “prima repubblica”, tentano di “concertare” col governo e quindi perdono potere di rappresentanza e forza d’urto: sono un elemento estraneo, oserei dire fine a se stesso, una nostalgia democratica in un clima di rissa corporativa.
I due partiti di maggioranza giocano “al più corporativo”, al più euroscettico, al più filo-agricolo, in una scoperta e squallida deriva demagogica e propagandistica, ma comunque non sono più in sintonia con un modo su cui pensavano di poter contare. Al riguardo è significativa la richiesta dei comitati agricoli, più o meno spontanei, delle dimissioni del ministro Lollobrigida, mentre Salvini gioca al rialzo per recuperare visibilità e consenso (sarà dura!).
Il governo Meloni è in evidente difficoltà: il suo stato sociale ed il suo corporativismo, la cui matrice storica è ben nota, vanno a farsi benedire. Gli agricoltori stanno scoprendo gli altarini sulle proprie ataviche manchevolezze, ma anche sulle contradditorie politiche del governo. La fetta agricola del tessuto sociale rischia di andare di traverso a chi la voleva piazzare stabilmente nel menù socio-economico.
Come finirà? Le organizzazioni imprenditoriali del mondo agricolo prenderanno un brodo di funzione, i comitati spontanei piano piano si spegneranno, i partiti di governo continueranno a raccogliere voti in quanto, come afferma Nando Pagnoncelli, “non si cerca più chi lavori per il bene comune, ma ci si accontenta della proposta di un leader che prometta di migliorare la nostra condizione: una concezione della politica un po’ egoistica. (da un’intervista rilasciata al quotidiano “Avvenire”)