In una sua recente apparizione televisiva, Massimo D’Alema, quale presidente della fondazione “italianieuropei”, ha presentato un interessante ricerca/analisi sul problema migratorio. Una conclusione sorprendente di tale lavoro riguarderebbe la documentata previsione dell’influenza che avrebbero eventuali importanti aiuti alle economie dei Paesi africani: il conseguente aumentato livello culturale e professionale degli abitanti non comporterebbe affatto il risultato di frenare i flussi migratori, ma addirittura avrebbe l’effetto di stimolarli ulteriormente alla ricerca di sbocchi occupazionali adeguati al di fuori dei confini africani. Sarebbe una migrazione meno disperata, più qualitativa e più gestibile, ma nel breve-medio termine non certo meno problematica e non tale da alleggerire significativamente l’impegno, per dirla con papa Francesco, dell’accoglienza, dell’accompagnamento, della promozione e dell’integrazione dei migranti.
Se quindi il substrato politico del cosiddetto piano Mattei per l’Africa fosse una riduzione drastica dei flussi migratori, oltre che trattarsi di una inaccettabile politica di chiusura di stampo trumpiano, il governo starebbe illudendo l’elettorato su un punto decisivo per il consenso del centro-destra: della serie proviamo ad aiutarli a casa loro chissà che non se ne stiano quieti.
Un altro punto molto incerto di questo piano “storico” (sic!) riguarda i rapporti con le smaliziate classi dirigenti dei Paesi africani: saranno probabilmente combattute tra le avance putiniane, quelle cinesi e quelle europee. Sarà una bella gara al miglior offerente in cui la realpolitik finirà per prevalere con risultati assai poco edificanti.
Gli osservatori più possibilisti intravedono nell’ambaradan euro-africano un tentativo interessante di superamento della logica colonialista, condotto dallo Stato europeo più credibile al riguardo per motivi storici e culturali. Non mi sento di firmare questa cambiale in bianco al governo Meloni, temo che ci sia sotto qualche impronunciabile interesse all’accaparramento delle fonti energetiche e che tutto si possa risolvere in un gigantesco ballon d’essai finalizzato a spostare l’attenzione della pubblica opinione dai problemi reali alle prospettive fantasiose. D’altra parte l’attuale governo italiano sta procedendo a colpi di conigli cavati dal cilindro: dal premierato all’autonomia regionale differenziata, dal patto di stabilità europeo alla manovra di bilancio nazionale, dall’accordo con l’Albania alla mancata ratifica del Mes, dalle trottole che girano per il mondo alle balle che restano in Italia.
Non sono chiari nemmeno gli aspetti finanziari del piano Mattei (faccio tanta fatica a chiamarlo così: Enrico Mattei infatti si scaravolterà nella tomba), mentre sono molto evidenti quelli mediatici: non vorrei si trattasse di un bell’imbroglio destinato nella migliore delle ipotesi a implodere rovinosamente. Se devo essere sincero, tutto considerato mi sento nella situazione di disagio vissuta da mio padre quando stavano clinicamente indagando sul suo stomaco.
«Non ci vedo chiaro!». Così diceva il radiologo a mio padre mentre gli stava facendo una lastra allo stomaco. «A crèdd, rispose mio padre, a ghé scur cme la bòcca ‘dun lòvv!». Alla fine il responso fu che il mio genitore era sano come un pesce. Uscendo dall’ambulatorio, nella sala d’aspetto si imbatté di nuovo in una frenetica e grassa signora, che precedentemente gli aveva esternato tutta la sua insofferenza a bere un bicchierone di bario per illuminare lo stomaco in funzione radiologica. Con una punta di sadismo la salutò e le disse: «A proposito, me ne stavo dimenticando, il dottore mi ha detto di preavvertirla che lei di bicchieroni di bario ne dovrà bere due…». Sul momento, non conoscendo la vena ironica di mio padre, sbiancò in volto, poi scoppiarono entrambi in una liberatoria risata. Liberatoria non tanto, perché, qualche mese dopo, mio padre dovette farsi operare: aveva ben tre ulcere che stavano degenerando… L’oscurità dell’ambulatorio non aveva evidentemente aiutato il radiologo.