Scappiamo, sta tornando Trump. Pensavamo di essercene liberati con i processi giudiziari a suo carico: tremende accuse di carattere etico, clamorose accuse di tipo costituzionale. Ebbene, ormai siamo al punto che avere guai seri con la giustizia è un titolo di merito, che conferma e addirittura aumenta i consensi. La politica viene vista come l’arte non tanto del governare, ma dello sgovernare. Io ti voto non perché sei onesto e bravo (almeno penso che tu lo sia), ma perché sei furbo e arrogante (come sotto-sotto vorrei essere anch’io).
In seconda battuta si sperava che i guasti provocati in quattro anni bastassero a placare l’innamoramento: niente da fare, quando uno è innamorato cotto, vede soltanto i pregi e non coglie i difetti anche se clamorosi. Evidentemente gli americani sono ancora innamorati di Trump e intendono dargli una prova d’appello.
Da ultimo si pensava che i subliminali valori della democrazia americana, venissero timidamente a galla, ma purtroppo la deludente prova del democratico Biden li ha sepolti sotto una coltre di penosi errori politici a livello interno e internazionale. Il casino totale richiede un forte uomo d’ordine a prescindere dal tipo di uomo e dal tipo di ordine. L’importante è la forza.
Siamo ancora alle elezioni primarie, vale a dire quelle del partito repubblicano, l’aria potrebbe cambiare quando si tratterà di confrontare il candidato repubblicano con quello democratico. Non è affatto vero che i due partiti si equivalgano in una corsa al ribasso ideologico, ma la personalizzazione e la “pragmatizzazione” della politica giocano a favore di una campagna elettorale alle grida in cui vince chi la spara più grossa. In secondo luogo il partito democratico, non avendo alternative a Joe Biden (salvo auspicabili sorprese), sarà costretto a ripresentare l’impresentabile presidente uscente. Sono convinto che tutto il mondo si accorgerà che in fin dei conti Biden non era poi così male in arnese, ma sarà troppo tardi.
Chi pensa alle elezioni americane come una questione riguardante quasi esclusivamente gli americani, sbaglia di grosso: oggi più che mai siamo talmente interconnessi da soffrirne irrimediabilmente e fortemente le conseguenze. Quali? Gli Usa arroccati e noi becchi e bastonati. Il dibattito viene ridotto alla penosa previsione in chiave meloniana: per nostra signora del cavolo sarà meglio consolidare l’opportunistico idillio con Biden o ritornare al vecchio amore con Trump?
E per l’Europa sarà meglio un presidente americano che balla costantemente nel manico o un presidente che considera la Ue come una pezza da piedi? E per i conflitti bellici in atto sarà meglio un presidente in balia delle onde o un presidente che vuò fà l’americano? Si tratterebbe di scegliere il male minore, ma gli statunitensi potrebbero anche optare per il male maggiore.
Se, per ipotesi, Trump scegliesse di accontentare in qualche modo Putin, mollandogli l’osso dell’Ucraina per poi rinchiuderlo nel canile russo ad abbaiare al mondo intero; se, sempre per ipotesi, Trump scegliesse di spezzare la pregiudiziale alleanza di potere che lega gli Usa ad Israele, lasciando che gli ebrei si divertano a giocare al gatto coi topi, vale a dire con i palestinesi e gli arabi; se, Trump, sempre per pura ipotesi, decidesse di spartirsi una buona volta il mondo con i cinesi, tagliando fuori tutto il resto (Europa compresa); se, insistendo nelle ipotesi, Trump impostasse un mondo dove ognuno fa i cazzi suoi, chi ha avuto ha avuto e chi ha dato ha dato, chi muore di fame peggio per lui, chi esce dai propri confini viene rimandato a casa; se, concludendo le ipotesi, brigasse persino a favore di un papa diplomaticamente chiuso in Vaticano, avremmo un mondo da cui scendere precipitosamente, ammesso e non concesso di averne il tempo.