Chi ci capisce dentro qualcosa è bravo. Mi riferisco alla riforma regionale denominata “autonomia differenziata”. Il decentramento regionale, varato con enorme ritardo rispetto ai tempi costituzionali, è già una grande delusione: avrebbe dovuto avvicinare i cittadini alle istituzioni e sburocratizzare lo Stato. Obiettivi falliti alla grande.
Alla burocrazia centrale si sono aggiunte le burocrazie regionali, il quadro si è allargato ed è qualitativamente peggiorato, perché, mentre lo Stato, bene o male, può contare sulla professionalità e l’esperienza dei suoi burocrati, le regioni hanno a disposizione un personale molto meno preparato, che finisce con l’avere tutti i difetti dell’amministrazione centrale senza averne i pregi. La mia pur modesta ma emblematica esperienza professionale è lì a dimostrarlo.
Per dirla in estrema sintesi, la burocrazia statale è intenta a svuotare di contenuto ogni e qualsiasi riforma socio-economica al fine di garantire la propria tranquilla sopravvivenza; quella regionale è intenta a confondere le idee del cittadino utente sovrapponendo lacciuoli a lacci, costringendolo a viaggiare su un doppio binario con deragliamenti inevitabili.
Sul piano legislativo la confusione è tale per cui il cittadino non sa più di chi sia la competenza a risolvere i suoi problemi ed è costretto a giocare a mosca cieca con le istituzioni. Di conseguenza si assiste allo scaricabarile delle responsabilità politiche fra Stato e Regioni: della serie molti colpevoli, nessun colpevole.
Nel 2001 è stata approvata una riforma al titolo V della Costituzione italiana che ha notevolmente ampliato le competenze regionali. In precedenza le Regioni avevano competenza legislativa su determinate materie, nel quadro della legislazione statale. Per le materie non menzionate dall’articolo 117 della Costituzione, la competenza legislativa era di esclusiva pertinenza statale. Con la riforma del 2001 è mutata la prospettiva circa la potestà legislativa in Italia: l’articolo 117 della Costituzione prevede, al secondo comma, una lista tassativa di materie soggette alla potestà legislativa statale e al terzo comma un elenco, altrettanto tassativo, di materie sottoposte alla legislazione concorrente (in cui la potestà legislativa spetta sempre alle regioni, ma nel quadro dei princìpi fondamentali posti dalla legge statale). Il quarto comma prevede infine che, per le materie di non esclusiva competenza statale o non sottoposte alla legislazione concorrente, la potestà legislativa sia esclusivamente regionale.
La confusione è ulteriormente aumentata: le regioni sono state ingolfate di poteri che finiscono nel nulla in quanto, tra l’altro, non supportati dalle necessarie disponibilità finanziarie. Secondo una satira dell’epoca, quando i plenipotenziari partono da Campoformio, il locandiere che li ha alloggiati insegue la loro carrozza gridando: “Chi mi paga?” E Pantalone, che sta a cassetta, risponde: “Amigo, pago mi!”. Se si chiede alla Stato di intervenire su una certa materia, ci si sente rispondere che è di competenza della Regione; se ci si rivolge alla Regione, ci si sente rispondere che mancano i fondi.
Giunge il giorno della grande parata, lo Stato sfila e il codazzo dietro, con i governanti tronfi e sicuri! Finché un grido si leva dalla voce dei bambini leghisti: “Lo Stato è nudo!”. E giù tutti a credere che sia meglio accrescere i vestiti regionali per coprire le nudità centrali. Maggiori poteri alla Regioni, maggiori risorse alle Regioni, e chi paga? Pantalone! E se una regione è più capace o più ricca delle altre? Meglio per i suoi cittadini e peggio per i cittadini delle altre regioni.
Così non può funzionare! Sarebbe una palese ingiustizia! Allora fissiamo i Lep, i livelli essenziali delle prestazioni e dei servizi che devono essere garantiti in modo uniforme sull’intero territorio nazionale. Campa cavallo che l’erba (non) cresce!
In tragica conclusione, la cosiddetta autonomia differenziata a cui si sta puntando, se dovesse mai funzionare, creerebbe una sorta di “Stato Arlecchino” servitore di troppi padroni in concorrenza fra di loro; se non dovesse funzionare, come è prevedibile, finirebbe col creare solo un gran casino.
Lavoravo da pochissimo tempo ed entrai in contatto con un utente dei servizi erogati dal mio datore di lavoro, il quale mi disse fuori dai denti: “Sa cosa le devo dire dottore? Che quell’organizzazione, in cui lei ha cominciato a lavorare, è un gran casino!”. Lascio immaginare lo sconcerto che mi crearono quelle sincere parole.
Senonché il casino, ricordiamocelo bene, fa sempre comodo a qualcuno: nel caso delle autonomie regionali differenziate sta diventando l’alibi per dare potere all’uomo o alla donna forte che metta ordine (leggi premierato), mentre chi ha creato il casino pensa di lucrare dalle “marchette” consegnate agli elettori. La Costituzione italiana è l’esempio di compromesso politico ai livelli più alti. Le riforme costituzionali che la destra sta cucinando sono il risultato del compromesso ai livelli più bassi.
Non resta che sperare nel referendum abrogativo. Mandiamo in Parlamento gente che non sa cosa stia combinando. Spesso ricorro agli aneddoti paterni per spiegarmi meglio. A mio padre piaceva molto questo: durante una partita di calcio un giocatore si avvicinò all’arbitro che stava facendone obiettivamente di tutti i colori. Gli chiese sommessamente e paradossalmente: «El gnu chi lu cme lu o agh la mandè la federassion?» (Lei è stato inviato ad arbitrare questa partita dalla Federazione o è venuto qui spontaneamente, di sua iniziativa?). Si beccò due anni di squalifica.
L’auto-squalifica ce la stiamo preparando: l’astensione dal voto! Referendum più abrogativo di così! Forse però rischiamo di abrogare la democrazia. Qualcuno la sta abrogando da Palazzo Chigi, bisognerebbe scendere in piazza. Ma no…smettiamola di inoculare il virus del fascismo strisciante nella gente ingenua e distratta. Sono altri i veri problemi. E quali sono? Se lasci che eliminino il guardaroba, con cosa potrai mai vestirti? Forse coi “Lep”.