«Prendi i soldi e scappa». Così Maurizio Sarri ha definito la formula della Supercoppa, quattro squadre in trasferta a Riyad da giovedì. La sua Lazio giocherà venerdì la semifinale contro l’Inter, all’indomani di Napoli-Fiorentina. «È il segno di un campionato che ha bisogno di soldi e li cerca nelle maniere meno opportune.
«Questo è tutto fuorché sport, è “prendi i soldi e scappa”, in maniera miope. La finale di Fa Cup si gioca nello stesso posto da 120 anni. Noi si va a elemosinare in giro per il mondo. Con tutti i problemi che ci sono, si fa la Supercoppa a 4… Se il calcio moderno è questo, sono felice di essere vecchio».
La vis polemica di Sarri ha poi investito altri argomenti, come il campo dell’Olimpico. «Non mi vengono aggettivi, è un terreno ingiocabile. È dipinto, manca l’erba in molti punti. Tutte le squadre che vengono a giocare qui, da 1 a 5, danno come valutazione 0. Questo è un campo da amatori; è imbarazzante che il calcio italiano sia ridotto così, poi è chiaro che all’estero non ti guarda nessuno. Non ci sono soldi per fare gli stadi e lo capisco, ma che non ci siano per rifare un manto erboso, non lo capisco». (Corriere della sera)
Nessuno che io sappia, ad eccezione di un timido accenno fatto da Adriano Panatta alla Domenica Sportiva Rai, ha osato rispondere a Maurizio Sarri per le rime. Da dove pensa che gli ingaggi da nababbo, tra i quali anche il suo, possano arrivare? Come può il sistema calcio permettersi certe spese se non cercando i soldi laddove sono, tramite ardite operazioni commerciali?
Sono d’accordo sul fatto che questo non sia più sport: Sarri se ne è accorto solo adesso perché lo disturba la trasferta in quel di Riad, che rischia di interrompere la striscia positiva (tutt’altro che consolidata) della sua squadra. Ha il pallino dei calendari inflazionati: gli piace fare la vittima delle partite ravvicinate, soprattutto quando le perde. Sputare nel piatto dove si mangia non è elegante e nemmeno professionalmente corretto.
Stiamo inoltre assistendo ad una deriva polemica verso arbitri e var: chi perde dà la colpa al sistema, che, gira e rigira, privilegerebbe i grandi club a danno dei piccoli. Non è forse sempre stato così? I giocatori coprono le loro magagne con ridicole sceneggiate e proteste sul campo. Gli allenatori e i presidenti quadrano i loro fallimentari bilanci scaricando le colpe sugli arbitraggi. I media guazzano dentro le polemiche dando un colpo al cerchio e un colpo alla botte, anche perché, mentre gli addetti ai lavori sputano nel piatto, loro mangiano il pane a tradimento e avrebbero non pochi problemi a riciclarsi nel caso di un’implosione o di un grosso ridimensionamento del sistema.
L’unico aspetto positivo lo vedo in un crescente scetticismo del pubblico al netto dei prezzolati e vezzeggiati tifosi col paraocchi: anche questo è un motivo aggiuntivo per la ricerca di fonti finanziarie alternative rispetto agli incassi dal botteghino, alle calanti tradizionali sponsorizzazioni e agli introiti dalle tv a pagamento.
Siamo solo agli inizi: arriveranno le superleghe, i tagli fisiologici al numero delle società calcistiche, l’ingresso ulteriore di soci con fondi più o meno puliti, un mix sempre più speculativo fra calcio e commercio. E ci sarà qualcuno che farà finta di scandalizzarsi, che, dopo aver cantato all’andata “là c’è da bere e da mangiare”, al ritorno “dopo aver mangiato e ben bevuto” si metterà a discutere di sport, facendo un po’ di opposizione a sua maestà il pallone gonfiato.