«Siamo assediati dai giornalisti. Andate via. Qualcuno li mandi via»: l’ultimo appello, finito anche questo sui social, è arrivato da Florina D’Avino, la figlia di Giovanna Pedretti, la ristoratrice trovata morta nelle acque del fiume Lambro. Sono stati gli amici a condividerlo, per chiedere a tutti quelli che conoscono la famiglia di andare nella zona della pizzeria «a dar man forte». Proteggerli dall’attenzione morbosa che su questa brutta storia s’è scatenata tre volte: prima quando la donna è diventata famosa per la sua recensione coraggiosa contro un cliente omofobo, poi quando è stata accusata di aver falsificato il post su Internet per trasformarsi in un’eroina, infine quando s’è diffusa la notizia della sua morte, quasi certamente avvenuta per suicidio. (dal quotidiano “Avvenire”)
Dalla paradossale e, con ogni probabilità, tragica vicenda avvenuta nell’orbita dei social media ricavo lo spunto per una riflessione oserei dire esistenziale: viviamo immersi nella realtà virtuale, anzi in tre realtà virtuali che si contendono la scena.
Siamo condizionati e frastornati dai social media e costretti a bere le pseudo-verità che ci somministrano. Ma non è finita lì. Siamo contornati anche dalla realtà virtuale radio-televisiva imbastita dal governo Meloni. E poi, dulcis in fundo, siamo immersi nella narrazione della realpolitik internazionale, quella che ci fa credere che la guerra serve a difendere la democrazia.
Tre false verità che si scontrano, si sovrappongono, si smentiscono, giocano sulla pelle del poveruomo della strada, che alla fine non trova di meglio che rifugiarsi nella quarta realtà virtuale, quella del bar in cui tutto si tiene e tutto quadra.
Sui social si costruiscono eroi e mostri, che si susseguono in una alternanza delinquenziale sotto la quale ci lasciano la pelle i soggetti più fragili e deboli. Sul palcoscenico radiotelevisivo si presenta il virtuale e virtuoso governo italiano, quello del tutto e il suo contrario, quello del nulla piegato in una carta dorata: anche qui ci rimette il soggetto più sprovveduto che si consegna al peggior offerente. La corda che lega il sacco virtuale è infine la sceneggiata bellicista che ci trasforma in tifosi delle partire internazionali.
Il governo italiano ha gridato allo scandalo della gogna dei social media per due subdoli motivi: perché rischiano di scoprire gli altarini della politica e perché ridimensionano la portata del compiacente monopolio radiotelevisivo. Una guerra tra virtualità che schiacciano la realtà.
La più grave di tutte, che tutte le raccoglie e le strumentalizza è però quella del potere forte della guerra: tutto è guerra e tutto giustifica la guerra. Reagire non è facile, ragionare con la propria testa è veramente arduo. C’è una vecchia canzone che dice: “Io cerco la Titina, Titina, mia Titina. La cerco e non la trovo. Chissà dove sarà. Io cerco la Titina, Titina, mia Titina. La cerco e non la trovo. Chissà dove sarà”.
Si tratta di una metafora: una Titina molto impegnativa. Sotto il bombardamento mediatico multilaterale c’è solo una prospettiva che può aiutarci a resistere.
Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future. (Giovanni 16,13)
Il discorso vale per i credenti, ma anche per i non-credenti in ricerca della verità. L’importante è cercare, perché chi cerca trova. (Matteo 7,8). Sui social? In televisione? Nei consessi internazionali? Tutto può servire, ma fino al punto di cui sopra.