Ursula von der Leyen e Hans Timmermans? “Sono dei malati”. Non solo: “Le persone più pericolose per l’Europa”. Le sanzioni alla Russia? “Inutili e soprattutto dannose visto che l’economia russa vola e quella tedesca è in recessione”. E poi, “basta immigrazione di massa, basta asilo, basta transizione climatica”. L’Europa? “Una grande casa con un bel giardino e in fondo un bel muro invalicabile dove far entrare chi vogliamo noi”. I vaccini? “Una insopportabile schiavitù”. Sul palco si alterano uno dopo l’altro i leader tedeschi (Afd), austriaci (Fpo), francesi (Rassemblement national), bulgari (Revival), cechi (Chega), polacchi, romeni, danesi, estoni. Sono sedici. In prima fila, uno accanto all’altro, li ascoltano il vicepremier Matteo Salvini, il presidente della Camera Lorenzo Fontana, il ministro dell’economia Giorgetti, quello delle Riforme Roberto Calderoli, i governatori Zaia e Fontana, i capigruppo Romeo e Molinari. A volte applaudono. Comunque acconsentono e approvano. S’intravede anche molto imbarazzo. Fortezza da Basso, la reunion dei leader delle destre sovraniste e xenofobe europee convocate sotto il cappello di “Identità e democrazia” e lo slogan “Free Europe” dal leader della Lega Matteo Salvini. Giorgia Meloni ha ufficialmente un problema enorme nel suo governo: il principale alleato va in direzione opposta alla sua e, per come sono state rappresentate le cose ieri mattina, nella competizione europea saranno uno contro l’altro. Salvo sorprese che non possono mai essere escluse ma sembrano altamente improbabili. (Tiscali News – Claudia Fusani)
Matteo Salvini finalmente fa un po’ di chiarezza. Tutto sommato gliene sono grato. Mentre Giorgia Meloni si fa il trucco, lui usa le salviettine struccanti. Lei punta ad un rassemblement moderato, lui ad una reunion delle destre estreme, mentre lei flirta con Ursula, lui la considera una malata contagiosa, mentre lei si colloca nell’area politica filoamericana, lui vagheggia una sorta di terzaforzismo destrorso, mentre lei gioca a fare l’ecologista in transizione, lui sfiora il negazionismo climatico.
I casi sono due: o stanno entrambi recitando una parte in commedia per meglio avere successo di pubblico, oppure stanno facendo sul serio e prima o poi i nodi dovranno venire al pettine, magari proprio in occasione delle prossime elezioni europee. In effetti, guadando al passato, Salvini sta rubando il mestiere alla Meloni, le sta facendo il verso con la sua solita dozzinalità: le sfila le battaglie odierne (sovranismo e populismo) e le lascia quelle di un brutto e impresentabile passato (neofascismo in salsa Vox). Se gara sarà, prenoto un posto defilato in loggione.
Non so quanta credibilità abbia Salvini in Europa dal momento che ha dovuto registrare alcuni importanti forfait: sembra più il mastino tenuto al guinzaglio da gente che la sa molto più lunga di lui, che il coordinatore di una vera e propria fronda antieuropea.
Non mi stupisce l’armata Brancaleone che sta venendo avanti a livello europeo, mi colpisce piuttosto l’accondiscendenza dei Giorgetti e degli Zaia, così come il problematico consenso delle forze sociali filo-leghiste ai disegni velleitari e sbracati di un leader in cerca d’autore.
Può darsi si tratti di una mera tattica volta a ottenere maggiore visibilità mediatica, più largo spazio a livello governativo, più potere all’interno della maggioranza, più considerazione nell’azione di governo, magari sulle battaglie di autonomia regionale rafforzata e di realizzazione del famigerato ponte sullo stretto. Credo tuttavia che Matteo Salvini faccia più pena che paura. Gli avrei dato meno tempo a disposizione, invece vedo che resiste e non molla.
Capisco Gianni Letta che tenta disperatamente di smarcarsi da questa compagnia di giro: ha trovato nell’opposizione alle scriteriate riforme costituzionali in cantiere il punto d’attacco neo-forzista e filo-mediaset. Si vede schiacciato fra gli opportunismi meloniani e i radicalismi salviniani. Non so se riuscirà nel suo intento di rimettere un po’ d’ordine nel centro-destra. Un tempo, quando la politica aveva un senso e un consenso, ci sarebbe riuscito, oggi lo vedo destinato ad un notabilato critico e stucchevole. Meglio comunque un Gianni Letta fuori dal coro dei cantori stentorei alla Salvini e dei penosi falsettisti alla Meloni.