In Spagna Pedro Sanchez è riuscito a costruire una coalizione di forze progressiste e autonomiste (inclusa l’ala dura dell’indipendentismo catalano): operazione spericolata (la Lega nord di un tempo era un bijoux rispetto agli attuali interlocutori di Sanchez), tatticamente furba (o spregiudicata?), solo il tempo dirà se strategicamente valida (o destinata a creare confusione). Non ho conoscenza della Spagna e della sua vita politica e sociale, tuttavia la cosa mi ha interessato e mi ha soprattutto indotto a qualche riflessione sul passato italiano piuttosto remoto.
Vado alla fine degli anni ottanta e inizio anni novanta del secolo scorso, vale a dire alla nascita del leghismo nel nostro Paese: un movimento ben più serio rispetto all’attuale Lega. La democrazia cristiana prima e il centro-sinistra poi non hanno colto quanto di positivo poteva esistere all’interno di queste aspirazioni autonomistiche e le hanno immediatamente esorcizzate considerandole una sorta di antistato e di antipolitica. Non hanno tenuto aperto nessun canale di dialogo, preferendo guardarsi conflittualmente l’ombelico (non hanno ancora smesso), finendo col regalare il leghismo a Berlusconi prima e alla destra estrema poi.
La Lega ai suoi albori non era un movimento catalogabile tout court di destra, era certamente un interlocutore scomodo e provocante, ma tutto sommato interessante. Non era, come ebbe a dire Massimo D’Alema, una costola tolta alla sinistra, ma un certo qual collegamento con la sinistra poteva averlo.
Invece il leghismo bossiano venne regalato a Silvio Berlusconi che ne fece pian piano un sol boccone, utilizzando la sua arma migliore, vale a dire “i soldi”, e lo asservì a un disegno di regime, che ben poco aveva a che fare con le spinte a livello idealità-opportunità di un nord in vena di orgogliosa autonomia e di slancio imprenditoriale.
Dopo le prime ammirevoli resistenze bossiane la Lega finì nel tritacarne berlusconiano, perdendo progressivamente identità e intento “rivoluzionario”: forse Umberto Bossi aspettava qualche cenno da sinistra che, a torto o a ragione, non arrivò mai. La Lega, perdendo il nord nella denominazione, ha finito giorno dopo giorno col rimanere prigioniera di una destra clerico-affaristica prima e clerico-neofascista poi. Della spinta iniziale non sono rimaste che le intemperanze mal condotte da un Matteo Salvini in cerca di spazio politico sempre più risicato e inquietante.
È pur vero che la storia non si fa con i se e con i ma, tuttavia se la sinistra avesse provato a tener aperta una finestra di dialogo, forse le cose sarebbero andate in modo diverso. Ci hanno provato i grillini con lo sciagurato patto del primo governo Conte, ma era tardi: alla Lega serviva un partner politicamente e socialmente affidabile e non una brutta copia a base di antipolitica. Al M5S non poteva bastare un interlocutore meramente tattico e programmaticamente sconclusionato. Andò a finire come ben sappiamo.
Ora Matteo Salvini interpreta senza dignità la parte di servo sciocco di Giorgia Meloni, forzando la mano a quanti nella Lega mantengono, nonostante tutto, una certa vocazione sociale, un collegamento territoriale e un relativo senso di responsabilità. Mi riferisco, tanto per non fare nomi, ai Giorgetti, agli Zaia ed ai Fedriga. Il leghismo è ridotto a mero e velleitario rivendicazionismo regionale sul piano istituzionale (autonomie rafforzate), a sbracata contestazione sul piano sociale (lotta dura all’immigrazione) e a inconcludente posizionamento politico (perdita graduale di consensi a favore di FdI).
La sinistra nel 2001 ha provato a togliere la terra sotto i piedi al leghismo con la riforma-pateracchio costituzionale del Titolo V della Costituzione, che ha riscritto appunto il Titolo V, modificando l’assetto del governo territoriale e sovvertendo i tradizionali rapporti tra Stato centrale ed enti periferici. Tentativo fallito sul piano istituzionale e politico a giudicare dal casino sopravvenuto nei rapporti centro-periferia e dall’imperterrita addirittura crescente verve anti-costituzionale della destra.
Ormai la frittata pseudo-indipendentista è fatta ed è diventata il piatto compromissorio per un autentico salto nel buio di una riforma istituzionale senza capo né coda e con tanti rischi per la democrazia parlamentare. La destra trascina irrimediabilmente la Lega nel gorgo con il masochistico assenso salviniano.
In casa socialista spagnola ci puzza di compromesso ai livelli più bassi (staremo a vedere…), mentre in Italia a suo tempo si sarebbe potuto provare un compromesso ai livelli più Bossi.