Guai a dire «Buon Natale!» all’Istituto universitario europeo di Fiesole. D’ora in poi ci si potrà, semmai, augurare «Buona Festa d’Inverno». Così, almeno, sembra, leggendo una corrispondenza interna al prestigioso Istituto fiorentino – che, tra l’altro, ha sede in un antico convento – che l’agenzia Sir ha potuto visionare. Secondo questo dispaccio, il presidente dell’Eui, Renaud Dehousse, avrebbe comunicato che, per non infrangere le regole sull’uguaglianza etnica, anche le feste religiose, pur inserite nel calendario accademico, dovranno essere comunicate con un linguaggio «inclusivo». Lo stesso presidente ha quindi lanciato una sorta di “concorso” per rinominare la festività, concedendo, bontà sua, che «gli aspetti tradizionali e folcloristici possono rimanere parte dell’evento». Insomma, una festa senza il Festeggiato, ma con tutto il contorno di Babbi Natale e regali assortiti. (dal quotidiano “Avvenire” – Paolo Ferrario)
Mi sembrano sciocchezze che tirano la volata all’intolleranza religiosa e razziale, che cova sempre sotto la cenere. Quale miglior assist per chi vuol sostenere che rischiamo di perdere la nostra identità religiosa sotto la spinta dell’accoglienza e dell’integrazione verso gli immigrati. Parliamoci chiaro, dell’identità religiosa non frega niente a nessuno, è solo il pretesto per mettere in discussione l’ingombrante presenza degli immigrati.
Alcuni giorni or sono ero in autobus attorniato dalla stragrande maggioranza di persone extracomunitarie e mi è venuta spontanea una domanda: e la nostra cultura che fine farà? Non ho resistito alla tentazione e mi sono permesso di porre il quesito ad una distinta signora dall’aspetto squisitamente nostrano. Mi ha guardato incuriosita e mi ha fulminato con una risposta molto esauriente e stimolante: siamo noi che stiamo perdendo la nostra cultura, non diamo la colpa agli invasori…
Penso avesse perfettamente ragione, spazzando via ogni e qualsiasi sottofondo di razzismo involontariamente presente nella mia domanda impertinente. Non ci dobbiamo chiudere, non dobbiamo avere paura di chi professa un altro credo religioso, al contrario dobbiamo dialogare ed arricchirci reciprocamente.
Non hanno pertanto senso le diatribe sul “crocifisso sì-crocifisso no” per non urtare la sensibilità delle persone di religione islamica così come risulta ridicola oltre che inutile l’intenzione di trasformare il Natale in Festa d’inverno. A questa trasformazione abbiamo già provveduto da molto tempo noi cattolici rendendo il Natale poco più di una ricorrenza consumistica e turistica. Quanto al crocifisso, come diceva il cardinal Lambertini nell’opera teatrale di Alfredo Testoni, ne abbiamo fatto un prestigioso e financo erotico gingillo per agghindare i prosperosi e gonfiati seni femminili o i petti muscolosi, virilmente ostentati dai machi di turno.
Smettiamola quindi di scherzare e andiamo al sodo. D’altra parte il mio caro amico sacerdote Luciano Scaccaglia non augurava mai un buon Natale, ma un Santo Natale e lui non era certo un razzista o un integralista. Sì perché il Natale o è Santo o non è Natale. Figuriamoci se lo trasformassimo in “Festa d’inverno”. Non facciamo gli aperturisti-relativisti à la page finendo con l’aizzare i cattolici, veri o finti integralisti che siano, contro gli immigrati sbrigativamente catalogati come soggetti pericolosi, pretenziosi, prepotenti e financo violenti. È un incivile gioco delle parti. Mio padre diceva con molta gustosa acutezza: «Se du i s’ dan dil plati par rìddor, a n’è basta che vón ch’a guarda al digga “che patonón” par färia tacagnär dabón».
Ho l’impressione che il vero ed autentico Natale dia più fastidio a noi che agli islamici, così come il Crocifisso, che ci interroga provocatoriamente su tutti i crocifissi (immigrati compresi) che sistematicamente creiamo nell’indifferenza totale. Non facciamo gli integralisti di comodo per reagire alla presunta invadenza degli islamisti d’importazione e alla laicità ridotta a cancellazione dei segni e simboli religiosi.
Siccome stiamo ragionando di identità religiosa mi sembra opportuno rammentare gli insegnamenti di un sacerdote storico di Parma, Don Raffaele Dagnino. Era un prete che non aveva voluto rinunciare alla tonaca, dal momento che gli era tanto costato indossarla, ma è proprio vero che l’abito non fa il monaco: aveva infatti uno spiccato senso laico della religione, meglio dire della fede. Era contrario alla scuola privata, anche quella cattolica. Sarebbe comodo, diceva, avere una scuola a propria misura ideologica. Nossignori, bisogna avere il coraggio di mettersi a confronto con i non credenti, testimoniare la fede in campo aperto. E poi chi ha detto che i cattolici siano migliori degli altri, ma lasciamo perdere…
Aveva perfettamente ragione se consideriamo la scuola cattolica, a livello individuale come la fuga integralistica e benpensante verso un’educazione di stampo religioso, a livello di famiglia cristiana come la delega concessa ad una istituzione superiore per assolvere agli obblighi battesimali di educazione alla fede, a livello comunitario cattolico come un distintivo eclatante della propria identità, a livello societario come uno dei segni piuttosto integralistici della presenza politica dei cattolici nella società civile.
Il tempo fortunatamente ha trasformato la scuola cattolica in un progetto educativo ammesso e riconosciuto dalla Costituzione italiana, diventando un vero e proprio patrimonio culturale per tutta la società, per i credenti e i non credenti. Anche la tentazione elitaria si è via via stemperata assieme alla sussiegosa pretesa di essere non “una” ma “la” scuola per i cattolici e per i laici più o meno devoti.
Però don Dagnino, ai genitori che si preoccupavano di insegnare tante cose ai propri figli, tanto per non sbagliare, consigliava di mettere al primo posto la scuola delle “opere buone”. Sono sicuro che non sarebbe sconvolto dalla presenza islamica, ma dalla superficialità del nostro cristianesimo.
Ricordo di avere involontariamente ascoltato, qualche tempo fa, il chiacchiericcio fra alcune mamme all’uscita di una scuola elementare. Una era particolarmente stressata per il fatto di dover accompagnare una figlia in tutte le sue attività extra-scolastiche: lezione di musica, lezione di danza, lezione d’inglese e…scuola di catechismo. Aveva messo nel calderone anche il catechismo, un optional, un adempimento da assolvere in mezzo agli altri.
Se devo essere sincero mi preoccupano molto più i cattolici all’acqua di rose degli integralisti islamici. Penso non sia opportuno concedere dei contentini simbolici ai secondi così come scandalizzarsi del loro fervore islamico solo per coprire la vacuità del nostro cattolicesimo di facciata. Facciamo bene e fino in fondo il nostro “mestiere” di cattolici, il resto verrà di conseguenza.