È bufera sul libro autoprodotto “Il mondo al contrario’’ del generale Roberto Vannacci, 55 anni, originario della Spezia, già a capo dei paracadutisti della Folgore e attuale comandante dell’Istituto Geografico Militare di Firenze. In base a quanto riportato da Repubblica, il generale si scaglia contro “la dittatura delle minoranze”, attaccando omosessuali, definiti “non normali”, ambientalisti, femministe, immigrati clandestini, famiglie arcobaleno e quant’altro. “La normalità è l’eterosessualità. Se a voi tutto sembra normale, invece, è colpa delle trame della lobby gay internazionali”. Parlando della legittima difesa il generale non usa mezzi termini. Se un ladro entra in casa “perché non dovrei essere autorizzato a sparargli, a trafiggerlo con un qualsiasi oggetto mi passi tra le mani”, “se pianto la matita che ho nel taschino nella giugulare del ceffo che mi aggredisce, ammazzandolo, perché dovrei rischiare di essere condannato?”.
Nella quarta del libro i toni sono più smorzati ma le parole danno comunque l’idea del contenuto: “Quando gli occupanti abusivi delle abitazioni prevalgono sui loro legittimi proprietari; quando si spende più per un immigrato irregolare che per una pensione minima di un connazionale (…); quando veniamo obbligati ad adottare le più stringenti e costosissime misure antinquinamento, ma i produttori della quasi totalità dei gas climalteranti se ne fregano e prosperano; (…) quando definirsi padre o madre diventa discriminatorio, scomodo ed esclusivo perché urta con chi padre o madre non è; quando si inneggia a larga voce per l’adozione di sempre più disparati diritti senza prevedere un altrettanto fitta schiera di doveri; quando non sai più come chiamare una persona di colore perché qualsiasi aggettivo riferito all’evidentissima e palese tinta della sua pelle viene considerato un’offesa; quando nei bar si incontrano persone che portano al guinzaglio maiali vestiti con cappottini rosa… Molti chiamano questa condizione Civiltà e Progresso. Ecco, questo libro è dedicato a tutti gli altri!”. (dal quotidiano “La Nazione”)
Che dire? Il ministro Crosetto e la destra governante le considerano farneticazioni di un soggetto da sottoporre ad adeguata procedura disciplinare, considerata la funzione da lui svolta. Altri nell’area pseudo-culturale della destra le considerano la punta dell’iceberg di una mentalità piuttosto diffusa nel Paese.
Ammesso e non concesso che in quelle parole scritte e pubblicate non si configuri qualche reato, ridurre il tutto ad una quasi goliardata militaresca mi sembra una reazione piuttosto omertosa ed opportunistica. Goliardate sarebbero quelle dei nostalgici partecipanti ai raduni fascisti, goliardate sarebbero quelle dei giovani studenti fascisti che scorrazzano negli atenei, goliardate sarebbero le bravate compiute dal movimento politico neofascista di “Forza Nuova”, goliardate sarebbero le raccolte di cimeli mussoliniani in casa del Presidente del Senato Ignazio La Russa, etc. etc. Atteggiamento comodo, che salva capra e cavoli, rassicura i goliardi e tranquillizza gli osservatori.
Quanto al fatto che si tratti di una libera e spregiudicata elaborazione di idee presenti nel corpo sociale sono abbastanza d’accordo ed è appunto l’aspetto più preoccupante. Che nella società italiana circoli il virus del razzismo con tutto il conseguente disprezzo e addirittura odio per i diversi è un dato vergognoso ma reale. L’aspetto più pericoloso ed inquietante sta, da una parte, nella subdola tolleranza della destra verso questa mentalità e, ancor più, nel clima politico di destra estrema che consente a queste idee di trovare libero sfogo e addirittura rappresentanza istituzionale (si pensi soltanto ai presidenti dei due rami del Parlamento). Se vogliamo ulteriormente approfondire il discorso possiamo addirittura trovare evidenti riscontri di questa mentalità nell’azione del governo nei confronti degli immigrati (il ministro degli interni se ne frega altamente dell’accoglienza e pensa solo alle espulsioni), nei confronti dei poveri (trattati alla stregua di fastidiosi fannulloni), nei confronti di chi vive in condizioni difficili (la riforma fiscale abbozzata sembra un premio ai furboni dell’evasione).
Due parole in conclusione sul fatto che nell’esercito e nelle forze di polizia alberghi uno stile di nostalgica adesione verso i presupposti fascisti dell’ordine vissuto come intolleranza e discriminazione: è una storia molto vecchia che nessun governante, di destra e di sinistra, ha saputo e voluto affrontare, considerandola come un elemento costitutivo e geneticamente immodificabile del militarismo di ogni tempo e luogo.
A questo punto preferisco fare riferimento a mio padre, che aveva fatto il servizio militare con spirito molto utilitaristico (per mangiare perché a casa sua si faceva fatica), cercando di evitare il più possibile tutto ciò che aveva a che fare con le armi (esercitazioni, guardie, tiri, etc.) a costo di scegliere la “carriera” da attendente, valorizzando i rapporti umani con i commilitoni e con i superiori, mettendo a frutto le sue doti di comicità e simpatia, rispettando e pretendendo rispetto al di à del signorsì o del signornò. Raccontava molti succosi aneddoti soprattutto relativamente ai rapporti con il tenente cui prestava servizio. Aveva vissuto quel periodo come una parentesi nella sua vita e come tale l’aveva accettato, seppure con una certa fatica. Mio padre era estraneo alla mentalità militare, ne rifiutava la rigida disciplina, era allergico a tutte le divise, non sopportava le sfilate, le parate etc. Pensava che tutto sommato gli eserciti e le polizie del mondo siano schierate a difesa non dell’ordine e della legalità, ma dei regimi, palesi od occulti che siano. Racchiudeva il suo pensiero critico in una simpatica ed “anarchica” battuta: «A un òmm, anca al pu bräv dal mónd, a t’ ghe mètt in testa un bonètt, al dvénta un stuppid».