L’oroscopo del governo Draghi

Se qualcuno non aveva capito qual è la differenza tra un governo politico e un governo tecnico, penso abbia avuto la spiegazione dai fatti accaduti il giorno dopo lo spoglio elettorale inerente l’importante consultazione amministrativa del 03 e 04 ottobre scorso.

Mario Draghi ha seguito burocraticamente il suo ruolino di marcia, ha convocato il consiglio dei ministri ponendo all’ordine del giorno la delicatissima questione della delega in materia di riforma fiscale e chiedendone poi una sorta di ratifica alla cosiddetta cabina di regia, che un tempo si sarebbe chiamata vertice tra i partiti di maggioranza.

La Lega si è immediatamente smarcata da entrambe le riunioni ponendo, pretestuosamente quanto goffamente, una questione di rispetto dei tempi, ma lasciando chiaramente intendere come sia finita la luna di miele col governo Draghi dopo la forte scossa elettorale subita.

Un presidente del consiglio di provenienza e stile politici avrebbe, immediatamente dopo i risultati elettorali, lasciato il tempo ai partiti di fare le loro valutazioni e i loro distinguo, rinviando di qualche giorno il varo delle riforme in cantiere e rispettando il travaglio post-elettorale di un’importante forza politica uscita malconcia dalle urne.

Matteo Salvini, straparlando di oroscopo, intendeva chiedere una pausa di riflessione in merito al contenuto di una riforma su cui i partiti della maggioranza non hanno univocità di pareri e di scopi? Legittimo, ma fatto maldestramente e in modo equivoco, che lascia più di un dubbio sulle reali intenzioni della Lega, spiazzata da un responso elettorale piuttosto negativo.

Mario Draghi, procedendo speditamente il suo percorso, intendeva mettere in difficoltà la Lega, stanco dei suoi tira e molla, sfruttandone un momento di debolezza per farle inghiottire l’ennesima pillola amara? Legittimo, ma fatto troppo astutamente e presuntuosamente in un momento delicato. Se invece voleva segnare il trionfo della tecnica governante sulla politica politicante, è riuscito nell’intento, mettendo ulteriormente all’angolo una forza politica che non si riesce a capire cosa voglia se non cavalcare temi che stanno perdendo mordente nei confronti della pubblica opinione.

Mario Draghi è però al bivio tra governo tecnico e governo politico: con questa accelerazione di passo ha chiaramente sconfinato e rimesso in discussione l’unità nazionale che, peraltro, prima o poi, sarebbe andata in difficoltà nella misura in cui si devono affrontare riforme di sistema per avere i quattrini europei.

Adesso cosa può succedere? Draghi ha due punti di forza: l’impossibilità di sciogliere le Camere per indire elezioni politiche anticipate e la propria autonomia personale rispetto ai destini della politica. Detta in parole povere: o così o draghì, prendere o prendere!

Furbescamente Meloni e Giorgetti stanno tentando di sfruttare l’unica arma relativa che hanno in mano, quella di ingolosire Draghi con la prospettiva del Quirinale in modo da “ricattare” il futuro presidente della Repubblica, condizionando il voto per lui ad un sollecito scioglimento del Parlamento con il successivo e immediato ricorso alle urne: per il centro-destra sarebbe oltre tutto la strada per sottrarsi ad un prevedibile calo di consensi di qui al 2023, tentando di incassare il prima possibile il bonus elettorale guadagnato fino ad oggi (così direbbero i sondaggi) e rinviando il bagno di sangue di un redde rationem all’interno dei partiti e della coalizione di centro-destra.

Credo che Draghi non sia molto sensibile alle lusinghe, anche se per lui salire al Quirinale non è una prospettiva da scartare a priori. Non ritengo plausibile una sua conversione frettolosa alla politica: da tecnico indipendente a leader di un centro-sinistra allargato, uomo per tutte le stagioni, alla Giulio Andreotti. Staremo a vedere. Resta il pericolo di un ritorno della peggior politica a metà della cura mattarelliana con il rischio di una ricaduta letale.