La draghite acuta

“Governo, Confindustria scarica i partiti per ‘votare’ Draghi “uomo della necessità”. All’assemblea annuale il presidente Bonomi sposa il governo: “Ci riconosciamo nel suo operato, basta veti e giochetti sulle riforme”. La stoccata a Salvini: flirta con i No Vax.

Si chiama Mario Draghi il leader del partito che non c’è, il partito della Confindustria. L’assemblea annuale degli imprenditori: al Palalottomatica dell’Eur a Roma il presidente degli industriali Carlo Bonomi smonta il sistema dei partiti ed elegge il governo Draghi a sistema. Il tutto con applausi scroscianti per il presidente del Consiglio, con tanto di standing ovation che scatta appena viene soltanto pronunciato il suo nome e che finisce per imbarazzare lo stesso ex banchiere centrale”.

Ho ripreso il titolo, il sommario e l’incipit dell’articolo di Roberto Mania sul quotidiano La Repubblica. Mi limito all’incipit per necessità (non ho infatti l’abbonamento che mi consenta di leggere oltre) e per virtù (mi sembra più che sufficiente a fotografare un clima che non mi piace affatto).

Lasciamo perdere la psicologia che mi costringe a prendere le distanze dagli eccessivi, generali e paradossali entusiasmi collettivi: scatta in me una sorta di allergia, di sindrome del bastian contrario, che mi pone immediatamente all’opposizione. Quando sento odore di cucina, se il profumo è di quelli più pesanti e fastidiosi, mi passa l’appetito e corro ad aprire la finestra per cambiare aria.

Il governo Draghi, per meglio dire Mario Draghi, è nato politicamente per colmare la clamorosa lacuna di un sistema partitico asfittico e inconcludente di fronte a drammatiche e prolungate (quasi stabili) emergenze. Ero tra i più convinti sostenitori di questa strada alternativa e la salutai con notevole e speranzosa soddisfazione. Non sto facendo marcia indietro, sto solo guardandomi intorno per vedere di nascosto l’effetto che ha fatto.

I partiti purtroppo non hanno capito niente e continuano la loro assurda melina più o meno strumentale. I sindacati ondeggiano tra la paura di perdere il loro ruolo (forse lo hanno perso da parecchio tempo…) e la smania di aggiungere almeno una cucchiaiata di rivendicazionismo critico all’assorbente quadro di progettualità onnicomprensiva. I media legano, come al solito, l’asino dove vuole il padrone, che, in questo momento, si chiama Mario Draghi punto e a capo. Fin qui tutto come da copione di una commedia preventivata con lungimiranza e acutezza da Sergio Mattarella: il vero deus ex machina della situazione.

Dal momento in cui Mattarella sembra lasciare la scena, i protagonisti si sentono spiazzati e orfani del garante. Cosa fare? Draghi va avanti per la sua strada, che sta per certi versi diventando una scorciatoia, ostentando sicurezza e, in mancanza del regista, funziona da suggeritore. Coi partiti usa il bastone del ricatto (anche se non vi piace è così e voglio proprio vedere dove andrete senza di me…) e la carota (non preoccupatevi, non rimarrò ancora per molto, ma lasciatemi fare…). Coi sindacati dei lavoratori fa la voce fin troppo grossa, sicuro che i cagnolini si nutrono delle briciole cadenti dalla tavola dei padroni. Ad un certo punto ecco arrivare in picchiata la Confindustria!

Volenti o nolenti, i rappresentanti (più sedicenti tali che effettivi) del potere economico non possono farsi spiazzare e allora applausi, anzi standing ovation per Draghi, l’unico interlocutore possibile e immaginabile, anche perché detentore di un portafoglio a fisarmonica che spunta dall’interno della giacca o dalla tasca dei pantaloni all’europea.

E io dovrei sentirmi rassicurato da questo clima opportunistico? Senza politica, senza sindacati, senza opposizione, senza voci critiche e con “i padroni” a farla da padroni per interposta persona? Forse stiamo esagerando e magari anche Mattarella se ne sta accorgendo e sta prendendo le distanze con l’aiuto della scadenza del suo settennato.

Roberto Mania accenna ad un certo qual imbarazzo di Mario Draghi subissato di applausi al gotha dell’imprenditoria. Teme di farsi schiacciare dalle furbizie padronali, che forse sono peggio delle incertezze sindacali e degli ondeggiamenti partitici.

Come era bella la vita politica quando ognuno faceva, più o meno bene, la sua parte.  Vado a prestito da mia madre che acutamente ed ironicamente osservava, sferzando la rivoluzione avvenuta nei costumi e nei ruoli: «Il dònni i volon fär i òmmi e i òmmi i volon far il dònni: podral andär bén al mónd?». Io mi fermo qui, il resto sta forse tutto nei draghi che vogliono fare Draghi e in Draghi che vuol fare anche la parte dei draghi.