Gli italiani hanno tanti pregi, che vengono universalmente riconosciuti, ma vantano purtroppo anche tanti difetti, che vengono altrettanto universalmente bollati. Forse i secondi sono l’esatto rovescio della medaglia dei primi. Vogliamo fare un esempio? La fantasia ci aiuta anche e soprattutto nei momenti difficili: ci saltiamo (quasi) sempre fuori. Il rovescio della medaglia sta nell’irrazionalità: fantastichiamo col cuore, ma ragioniamo di pancia (anziché di mente). Detta in modo culturalmente corretto, ragioniamo sì, ma col cuore, ovverossia continuiamo sempre a lavorare di fantasia fuggendo dalla triste realtà.
Questa astrusa premessa per commentare la stucchevole polemica insorta intorno alla scarcerazione per decorrenza dei termini di Giovanni Brusca, soprannominato in lingua siciliana u verru, oppure lo scannacristiani per la sua ferocia, un mafioso e collaboratore di giustizia italiano, in passato membro di rilievo di Cosa Nostra.
Brusca ha potuto usufruire dei vantaggi accordati dalla legge ai cosiddetti pentiti, coloro cioè che forniscono alla giustizia importanti elementi per combattere la criminalità: un vomitevole scambio di favori, che tuttavia sembra sia risultato utile ed abbia consentito passi in avanti nelle indagini e nella guerra contro la delinquenza. Ho usato volutamente il termine guerra, perché di essa si tratta e in guerra, in un certo senso, tutti i mezzi sono validi pur di sconfiggere il nemico.
Si tratta di un pentitismo di comodo? Certamente sì. Non si hanno, per lo meno in molti casi, riscontri seri di un ravvedimento operoso da parte di questi delinquenti. Sono vere e proprie spie a cui si concedono protezione e sconti di pena a fronte delle utili informazioni da esse fornite. È perfettamente inutile andare alla ricerca di un pentimento di natura umana ed etica, c’è solo un calcolo di convenienza da ambo le parti. Se proprio si vuole sottilizzare, sul piano morale queste persone alla delinquenza aggiungono anche il tradimento tipico delle spie (le peggiori persone che esistano). Non facciamo pertanto discorsi di giustizia, di rieducazione del condannato (punto peraltro irrinunciabile previsto dalla Costituzione italiana per tutti i condannati) e di sfregio alle vittime.
Siamo in presenza di un mero e schifoso contratto per il quale lo Stato compra informazioni, pagando il relativo altissimo prezzo. È chiaro che, quando viene il momento del pagamento, si fa forte la tentazione di contravvenire al patto, ma sarebbe la peggiore delle soluzioni. Tali contratti sono di qualche effettiva utilità? Questo è un altro discorso! A volte me lo dichiedo: i pentiti diranno la verità o faranno finta di dirla? É un giudizio che deve essere lasciato agli organi dello Stato al fine di non regalare la libertà a chi finge di sapere, creando solo ulteriore confusione, trasformando lo scambio in una solenne presa in giro. Credo che questo sia, tutto sommato, un rischio da correre per ottenere risultati molto importanti anche se difficili da riscontrare obiettivamente e da valutare realisticamente.
Smettiamola quindi di improvvisarci giustizieri del giorno dopo, non piangiamo sul latte che abbiamo dovuto versare, non sentiamoci improvvisamente e fanaticamente implacabili vendicatori dei torti subiti. Riteniamo insostenibile questo impianto pseudo-giudiziario? Benissimo! Togliamolo di mezzo e di pentiti non se ne parli più, a costo di segnare il passo in certe inchieste riguardanti la criminalità organizzata.
Qualcuno sosterrà che i risultati sono così risibili da rendere inaccettabile il prezzo per i famigliari delle vittime e per il senso della giustizia in generale. Può darsi…però dopo non ricominciamo a recriminare irrazionalmente sul latte re-imbottigliato. So benissimo che per i parenti e gli amici dei morti ferocemente ammazzati tutto può sembrare paradossale. In un certo senso lo è: il paradosso della ragion di Stato da far quadrare con lo Stato di diritto. Una sfida improba su cui ragionare con la testa e non con la pancia.