Le tute di forza per gli allenatori

Nella mia famiglia non si è mai respirata aria di comunismo. Mio padre non era anticomunista, ma era autonomo rispetto a questa ideologia ed estremamente critico verso gli aspetti più superficiali, faziosi, demagogici, anticlericali, filo sovietici del comunismo italiano. Mia madre, pur essendo devota sorella di un santo sacerdote, non era affatto una clericale, ma certamente non aveva simpatie comuniste. Mia sorella ed il sottoscritto, educati in un clima oscillante fra il paterno socialismo dal volto umano e la materna carità cristiana, non potevamo che collocarci nel solco del cattolicesimo democratico con forte propensione verso la DC di sinistra. Ciononostante, quando emergevano fatti clamorosamente portatori di ingiustizie, mi lasciavo andare e provocavo mia madre, che stava al gioco: “Un po’ ‘d comunisom al ne faris miga mäl dal tùtt: a serta génta bizognaris mettrog ‘na tuta e mandärla a lavorär…”.

Ebbene, se fosse vero quanto afferma ironicamente Ignazio La Russa, esponente di primo piano di Fratelli d’Italia” ma soprattutto interista sfegatato da sempre, vale a dire che “l’addio di Conte all’Inter è tutta colpa del comunismo cinese” in quanto “il presidente Zhang ha dovuto obbedire al diktat del suo governo…», rivaluterei i venti di austerità calcistica provenienti dalla Cina.

L’allenatore dell’Inter non ha esitato a fare le valige quando ha sentito una sacrosanta aria di austerity e se ne è andato alla ricerca spasmodica di un ingaggio favoloso e di una squadra secondo i suoi desiderata. Ciò naturalmente all’ex ministro della Difesa non è andato giù, come a tutti coloro che hanno il cuore nerazzurro fresco del diciannovesimo scudetto della squadra.

«Sì, è tutta colpa del comunismo cinese – scherza ma non troppo La Russa – perché la politica del governo di Pechino ha imposto al presidente Steven Zhang, che rispetto e ammiro, di tagliare gli investimenti nel calcio. Lui non ha colpe. Ha dovuto chiudere la squadra che aveva in Cina e che stava vincendo il campionato sempre per un diktat del suo governo. E lì in Cina non si può dire di no. Basta vedere come è finita a Jack Ma, il fondatore di Alibaba. Ora, per far quadrare i conti e risparmiare 100 milioni, è costretto a vendere gioielli come Hakimi e chissà chi altro. Continueranno a vendere, magari il prossimo anno cederanno Lukaku e Eriksen. È chiaro che Conte ha detto no. Altro che ciclo interista…».

Dunque, i “comunisti” cinesi avrebbero imposto a Zhang tagli netti al monte ingaggi e un mercato che dovrà chiudere con un forte attivo: zero nuovi investimenti e cessione di big. Condizioni che Marotta e Ausilio hanno poi messo sul tavolo a Conte, che non ha accettato di ridimensionare la squadra. Finalmente qualcuno ha cominciato a ragionare e fare due conti e ciò non è piaciuto a Conte, illustre rappresentante degli avvoltoi che volano intorno al cadavere del calcio.

L’Inter non è stata a guardare e non ha pianto sul Conte versato, ha ripiegato su Simone Inzaghi altro esimio rappresentante di una categoria che sembra mettersi l’etica sotto i piedi puntando solo e spudoratamente ai soldi.  Quando sembrava che fra Inzaghi e Lotito, presidente della Lazio, fosse scoppiata la pace a lume di candela e con una stretta di mano, si è fatta viva l’Inter con un ingaggio raddoppiato e al tecnico laziale non è parso vero di mollare tutto e tutti e di trasferirsi a Milano. Evviva la correttezza e la coerenza!!!

“I comunisti” dell’Inter hanno smesso subito i panni moralistici per vestire quelli della più spietata e assurda delle concorrenze: era necessario, dopo aver dato un colpo alla botte dei futuri bilanci, darne uno al cerchio della tifoseria infuriata per la partenza di Antonio Conte, improvvisamente diventato l’idolo della piazza interista.

Questo è il calcio, che dà un calcio ad ogni e qualsiasi regola sportiva, etica, professionale, contabile e opta per un mercato impazzito dove gli allenatori e i giocatori (vedi il portiere del milan Donnarumma) più importanti fanno i furbi, non capendo che si sta raschiando il barile. Sembra che pensino: portiamo a casa il più possibile, il resto si vedrà. Non so però fino a che punto i loro contratti pluriennali potranno essere onorati dalle società calcistiche indebitate fino al collo.  Forse i magazzinieri avranno pronte per loro anche le tute che sarcasticamente ipotizzava mia madre?