Le colpe dei genitori ricadono…sugli insegnanti

Trenta giorni di prognosi al vicepreside di un istituto superiore di primo grado a Foggia per le percosse subite dal padre di un alunno rimproverato. Il genitore si è scagliato come una furia contro il professore sferrandogli un pugno al volto e all’addome. Il vicepreside non ha reagito. L’uomo non aveva richiesto alcun colloquio per chiedere spiegazioni sul rimprovero che era stato fatto dal docente al figlio perché “spingeva e rischiava di far cadere le compagne in fila davanti a lui”.  Questa la scarna notizia inerente un fatto di non grande rilevanza assoluta, ma emblematico di un clima negativo esistente nei rapporti tra scuola e famiglia.

Siamo ben lontani dalla regola che mio padre si è sempre imposto: “Mo vót che mi digga quél a un profesór, par poch ch’al nin sapia al nin sarà sempor pu che mi”. Gli insegnanti sono uomini come gli altri, soggetti a sbagliare, con i loro difetti che, a volte, possono anche portarli a commettere gravi ingiustizie. Un tempo avevano sempre e comunque ragione, il loro giudizio non si discuteva e i genitori ne prendevano atto. Oggi si è capovolto il discorso: gli insegnanti hanno sempre torto e i genitori si schierano pregiudizialmente dalla parte degli alunni, creando un cortocircuito pericolosissimo a livello educativo. I giovani infatti, già portati a non accettare i rimproveri dei loro insegnanti, si sentono spalleggiati e quindi ancor più refrattari rispetto alla disciplina scolastica.

Ricordo di aver involontariamente ascoltato, su un bus che portava a scuola alcune ragazzine, il concitato dialogo fra due di esse: parlavano di una loro insegnante, a loro dire piuttosto bisbetica, e una delle due riportava quanto detto al riguardo dalla propria madre:  «Sai perché la tua insegnante ti sta addosso con i suoi continui rimproveri? Perché lei è brutta e tu sei molto carina! Tutto è frutto dell’invidia…». Risatine compiaciute.

Può darsi benissimo che l’insegnante fosse bruttina. La ragazza sinceramente non la ricordo. Il personaggio veramente “brutto” era però la scandalosa genitrice: mi chiedo cosa avesse nel proprio cervello per arrivare a simili insinuazioni. Siamo alla pura follia. Anche ammettendo che il comportamento della professoressa fosse veramente improntato all’invidia e alla rivalsa, mai e poi mai una madre dovrebbe sputtanare in tal modo un’insegnante di fronte alla propria figlia. Semmai chieda un incontro, apra un dialogo, anche serrato, ma dire scemenze del genere…

Ebbene quel padre ha fatto più o meno la stessa cosa, passando addirittura alle vie di fatto.  Non è tanto questione di riconoscimento dell’autorità costituita, ma di buon senso educativo. Riporto un fatterello accadutomi parecchi anni or sono (gli stupidi ci sono sempre stati).

Ero alla fermata di un autobus ed attendevo con la solita impazienza l’arrivo del mezzo pubblico; accanto a me stavano un giovane padre assieme a suo figlio bambino, ma non troppo. Sfogliavano un giornale sportivo e leggevano i titoloni: il più eclatante diceva della pesante squalifica comminata a Maradona per uso di sostanze stupefacenti. Si, il grande Maradona beccato con le dita nella marmellata. Il bambino ovviamente reagì sottolineando la gravità della sanzione ed espresse, seppure un po’ nascostamente, il suo rincrescimento per l’accaduto. Qui viene il pezzo forte, la reazione del padre che vomitò (non so usare un verbo migliore): “Capirai quanto interesserà a Maradona con tutti i soldi che ha!!!” Il bambino non replicò e l’argomento purtroppo si chiuse così.

Non so ancora darmi ragione del mio silenzio, ma forse fu dovuto al fatto che una bestialità simile non me la sarei mai aspettata da un padre: ci fosse stato “mio padre” non avrebbe taciuto. In poche parole quel signore aveva lanciato un messaggio negativo, diseducativo all’ennesima potenza. Era come dire al proprio figlio: “Ragazzo mio, nella vita conta solo il denaro, delle regole te ne puoi fare un baffo, della correttezza fregatene altamente”. Arrivò finalmente l’autobus, il tutto finì lì, ma ringraziai mio padre perché non ragionava così.