I giovani camorristi non sono eroi, nemmeno in negativo

Quando Vittorio Sgarbi sferra i suoi attacchi a qualche mostro intoccabile della televisione pubblica e privata, ammetto di godere. Ciò a prescindere dai contenuti, dai toni spesso volutamente esagerati ed ostentatamente scorretti, ma per la sua capacità di dissacrare il verbo di questi padreterni catodici, di mettere, anche violentemente, in discussione la pseudo-verità televisiva ed anche l’opinione degli intoccabili, di qualsiasi parte e provenienza politica e culturale.

L’ultima uscita clamorosa di Sgarbi riguarda lo scontro violento avuto con Corrado Formigli, conduttore di “Piazza Pulita” un programma de La7, in ordine alla presunta e diseducativa esaltazione di certi fenomeni criminale che alcuni opinionisti rischiano di fare nei confronti dei giovani. Non è una questione di lana caprina e tanto meno una vuota polemica: credo che metta il dito su un problema culturale reale.

Questo discorso è stato sollevato, con ben altro garbo, da Corrado Augias nel suo bel programma televisivo “Quante storie”, aprendo un seppur lieve fronte polemico con Roberto Saviano. Lo scrittore, come noto, racconta l’ascesa delle giovani leve della malavita napoletana. L’autore di Gomorra analizza il modus operandi dei cosiddetti “paranzini”, ragazzi pronti a morire in giovane età pur di emergere nel mondo criminale. Augias gli ha contestato il rischio di mitizzare il male, descrivendo i giovani camorristi come degli eroi, seppure in negativo.

Il discorso non è nuovo. La verità deve essere raccontata:   non regge l’argomentazione del lavare i panni sporchi in famiglia o addirittura del tenere nell’oscurità certe realtà scomode ed estremamente provocanti. Tuttavia, soprattutto in riferimento ai giovani, non si può nascondere il problema dell’emulazione, un istinto che può nascere quando la verità, pur negativa, venga presentata con eccesso di zelo, quasi con indiretto compiacimento, con abbondanza di toni letterari, con generalizzazioni un tantino semplicistiche.

Lo scrittore non deve edulcorare la realtà per il timore che possa creare scompiglio, ma nemmeno dimenticare come la descrizione del male senza via di scampo possa creare rassegnazione negli anziani e volontà di emulazione nei giovani. La reazione può diventare questa: se la realtà criminale è talmente diffusa e radicata, non c’è nulla da fare, o ci rassegniamo a subire o diventiamo protagonisti.

Mi pare che una seria riflessione di carattere etico-educativo non guasti e non debba essere considerata un’invasione di campo o addirittura una censura. Un padre gesuita, impegnato nelle carceri e avvezzo ai rapporti anche con i peggiori criminali, mi diceva: «Anche nella peggiore situazione di male, nel più brutto dei terreni esiste sempre un filo d’erba, che lascia intravedere uno spiraglio di bene, di riscatto, di inversione di marcia».

Credo che al di là delle sue intemperanze Vittorio Sgarbi volesse dire proprio questo, come del resto anche Corrado Augias, che non esito a definire il migliore interprete giornalistico della nostra società.

Forse anche lo stesso Leonardo Sciascia (spero di non forzare il suo pensiero), quando parlava di “mafia dell’antimafia”, intendesse alludere al rischio di fare dell’antimafia un comodo e superficiale mestiere e di cavalcare involontariamente la tigre. Non è certo il caso di Roberto Saviano e nemmeno di Corrado Formigli, ma non sarà male se anche loro vorranno riflettere e adottare maggiore prudenza. Quando la provocazione si fa eccessiva e asfissiante, cessa di essere tale e diventa fine a se stessa. È come una medicina che può avere effetti indesiderati. Una fotografia può essere fuorviante anche in negativo.

Impariamo dal più grande provocatore di tutti i tempi: Gesù Cristo. Denunciava senza pietà il male compiuto, anche dagli uomini religiosi, ma lasciava sempre aperta la porta della conversione e soprattutto proponeva l’alternativa. “Ma io vi dico…”.