Puntualmente in ritardo

Recentemente, in un dialogo con simpatiche e brillanti amiche, sono tornato a parlare del vezzo piuttosto diffuso di non essere puntuali, di arrivare clamorosamente in ritardo. Durante la mia vita professionale ne ho sofferto le conseguenze: vocato per natura ed educazione alla puntualità, ho tristemente perso tanto tempo aspettando i vari Godot degli incontri di lavoro, che arrivano con ritardi assai poco accademici.

Ad un certo punto, stanco di buttare via tempo prezioso per colpa altrui, mi diedi una regola: aspettare mezzora e poi lasciare il campo. Fu un macello, dovetti ripiegare frettolosamente, passai dalla parte del torto, rischia il licenziamento. Io mi ero dato una regola, ma gli altri non si erano dati una regolata e il torto finiva con l’essere mio: al danno del tempo sciupato si aggiungeva la beffa di essere paradossalmente considerato assenteista. Non avevo infatti l’autorità sufficiente, quella di quel giudice del tribunale di Parma che spaccava il minuto e, in occasione di procedure fallimentari, iniziava le assemblee dei creditori per l’approvazione della situazione debitoria con assoluta puntualità, mettendo parecchi soggetti in seria difficoltà. “Se ci sono io, ci devono essere anche loro”, era la pesante ma giustissima argomentazione posta alla base del suo rigido comportamento.

Ma veniamo ai giorni nostri. Lord Michael Bates, ministro britannico del Dipartimento internazionale per lo sviluppo, è arrivato alla Camera dei Lord con due minuti di ritardo, sufficienti a non permettergli di rispondere alla prima domanda della baronessa Lister. Quando ha preso la parola, il ministro si è scusato per il suo comportamento e ha presentato le sue dimissioni con effetto immediato” al primo ministro. “Di tutti i ministri che vorrei si dimettessero, lui è l’ultimo. Risponde sempre alle domande, mentre molti le evadono in modo maleducato”, ha dichiarato la stessa Lister. In ogni caso Bates molto probabilmente manterrà il suo posto, le sue dimissioni sono state infatti rifiutate da Downing Street.

Non so fino a qual punto l’aplomb del ministro inglese sia artificioso o meramente provocatorio, tuttavia è un bell’esempio di correttezza, che viene prima della politica, ma che deve essere applicata alla politica. Non ho dimestichezza con le aule parlamentari italiane e non so dire cosa succeda su questo fronte: a giudicare dall’assenteismo emergente da certe inquadrature televisive, dall’atteggiamento di molti parlamentari intenti a sbrigare le loro faccende con tanto di smartphone e di computer, dai rumori di sottofondo che accompagnano i dibattiti, posso facilmente immaginare che il rispetto degli orari sia un optional probabilmente superato dalla preventiva ed arbitraria selezione degli impegni (quelli televisivi sempre e comunque in priorità).

È vero che la puntualità non è tutto, che si può essere puntuali e inefficienti allo stesso tempo, ma, se, come si suol dire, il buon giorno si vede dal primo mattino, ci sono persone che partono con un’ora di ritardo e non so alla sera a qual punto saranno arrivati. E i loro interlocutori? Lasciamo perdere…

Tutti avranno visto i politici inquadrati dalle telecamere: hanno sempre l’orecchio attaccato al telefono, salutano tutti cordialmente, rispondono sempre alle domande dei cronisti. Gli osservatori ingenui penseranno: come sono impegnati! Come sono educati! Come sono bravi! Come sono disponibili! Se grattiamo la scorza mediatica non so cosa salti fuori.

Tornando al ministro britannico, qualcuno malignerà che si tratti del solito deviante formalismo inglese. Può darsi! Non desidero le orribili assemblee parlamentari dove tutti, allineati e coperti, applaudono a bacchetta come marionette. Tuttavia un po’ di correttezza, di educazione, di stile non guasta. In Gran Bretagna, ma anche in Italia.

E poi l’istituto delle dimissioni mi ha sempre affascinato: è una dimostrazione di forza e di serietà. Però andrebbero date sul serio e non per farsele respingere. Altrimenti…