Il desolante quadro elettorale si sta completando: dopo le promesse a vanvera, dopo le candidature “prestidigitatorie”, dopo gli scandali sbirciati dal buco della serratura, sono in arrivo le future alleanze giocate sulla ruota dell’imballatura politica.
Un tempo viaggiava forte la battuta: “se mia nonna avesse le ruote sarebbe un carretto”, versione italiana e puritana della ben più significativa e dialettale “se me nòna la gavis i cojón la saris al me nonón”. E se dalle urne del 04 marzo 2018 uscisse un risultato che non assegnasse una maggioranza a nessun partito e/o raggruppamento, cosa si farà? E giù tutti a fantasticare ed a prevedere i puzzle più strampalati: Grillo (io continuo a personificare il M5S) + LeU (una sigla piuttosto astrusa che assegna, chissà perché, in dote esclusiva a Bersani e D’Alema i valori della libertà e dell’uguaglianza); Grillo + Salvini (il massimo dell’antipolitica fatta pernacchia); Pd + LeU (la improbabile e opportunistica quiete dopo l’assurda tempesta); ultima ma non ultima, Renzi + Berlusconi.
Quanto alla ipotesi di una maggioranza di emergenza tra PD e FI, essa viene vista dai più come la gogna trionfale del bipolarismo o partitismo come dir si voglia: v’è chi la sventola per sputtanare Renzi in vista di questo “ignobile connubio”; altri per rompere le palle a Berlusconi a livello dei suoi difficili equilibri nell’esile cordata del centro-destra; altri per imprimere nella mente degli elettori il comandamento “non avrai altro governante all’infuori di Di Maio”. In positivo qualcuno la vede come argine alla follia grillina, altri quale combinazione istituzionale per dare un minimo di stabilità governativa all’Italia, altri per guadagnare un po’ di tempo prima di tornare alle urne, altri ancora per fare la caricatura al compromesso storico.
Resto per un attimo su questa prospettiva: tutto sommato mi pare la più plausibile politicamente parlando. Senza scomodare i parallelismi con la Germania (probabile alleanza tra socialisti e popolari), non ci sarebbe da scandalizzarsi se per un certo periodo le due forze più significative trovassero un minimo comune denominatore, tale da traghettare il Paese verso un sistema elettorale un po’ meno rabberciato e un mini-programma governativo di emergenza.
In definitiva al “Grillo contro tutti” si sostituirebbe il “quasi tutti contro Grillo”, ad estremi mali estremi rimedi, uno spericolato “si salvi chi può”. E chi farebbe il capo del governo? Qui verrebbe il bello o, meglio, qui cascherebbe l’asino.
Da ragazzo organizzai una squadretta di quartiere per partecipare ad un torneo calcistico parrocchiale: una frettolosa ed assurda compagine. Fummo i primi ad entrare in campo, inaugurando il torneo. Quando fu il momento di scegliere il capitano, mi candidai presuntuosamente (come giocatore facevo letteralmente ridere, ma la squadretta l’avevo costruita io e quindi nessuno ebbe il coraggio di contestare la mia leadership). Fu un disastro: dopo un breve vantaggio, prendemmo una botta di goal da non credere. La squadra si era fatta compatire e io, come capitano, ero diventato lo zimbello del quartiere. Mi ci volle del tempo a recuperare un minimo di dignità.