Ho involontariamente ma fortunatamente ascoltato l’indirizzo di saluto rivolto al Quirinale dal Presidente Mattarella agli atleti che parteciperanno alle olimpiadi invernali in rappresentanza del nostro Paese dietro i colori della nostra bandiera. Come spesso mi accade (sarà anche l’età) mi sono commosso alle prese con la mite ma forte autorevolezza del Capo dello Stato: riesce a trasmettere un senso di fiducia, di serenità e di partecipazione, che allargano la mente e il cuore.
Mi sono quindi assai irritato quando la trasmissione è statabruscamente interrotta per il solito stupido rispetto del palinsesto, applicato dal solito petulante conduttore, insediato dal solito opportunista direttore, nominato dal solito cencelliano consiglio di amministrazione, presieduto dal solito tappezziere di turno. Li ho stramaledetti tutti quanti (non per cattiveria di cui sotto, ma per legittima difesa): ci inchiodano agli schemi che ci abbruttiscono.
Perché ascolto Mattarella con tanto riguardo e tanta consolazione? Perché è capace di togliere il Paese da quel senso di “cattiveria” che lo opprime e lo condiziona pesantemente. Non sto facendo il solito natalizio pistolotto buonista: se proprio devo essere sincero mai come quest’anno sono stato insofferente alla gara augurale di cui mi sento vittima. Mio padre per dissacrare il rito degli auguri raccontava la gustosa barzellettina di quel bambino che, in un linguaggio equivoco tra italiano e dialetto parmigiano, terminava la poesia di Natale con: «…e tanti ingurij al papà…». Al che il padre rispondeva: «Sì, e un m’lon in tla schén’na a tò mädra…».
Natale a parte, non ne posso più di vivere in un clima, politico, sociale e mediatico, improntato alla cattiveria. Ho sempre avuto un forte spirito critico, probabilmente ereditato da mio padre, e quindi non sono un pedissequo osservatore della società, non amo voltare le spalle ai problemi, non mi rifugio in una comoda alzata di spalle. Dal menefreghismo verso tutto e tutti alla “smerdata” di tutto e tutti passa parecchia differenza, anche se forse finiscono con l’essere i due lati della stessa medaglia.
Questo stile barbarico mi infastidisce: a volte cerco di riderci sopra, talora mi innervosisco, spesso tento di estraniarmi. Non si può vivere così, immersi nella cattiveria! Sergio Mattarella ha il potere di calmare, abbassando i toni polemici e riportando sempre le questioni alla loro effettiva dimensione. Si badi bene, non si tratta di stendere un velo zuccheroso sui problemi, ma di ricondurli ad una realtà obiettiva e di inserirli in una logica di cambiamento positivo e costruttivo.
Quando partecipavo alle riunioni assembleari di società cooperative, toccavo con mano come il presidente fosse generalmente il personaggio carismatico (non necessariamente il più intelligente o il più esperto, ma il più credibile, il più serio ed equilibrato) capace di instaurare un clima collaborativo anche di fronte agli inevitabili scontri polemici. Sì, la cooperazione, con le sue strane, paradossali e democratiche regole amministrative, ha sempre qualcosa da insegnare a tutti coloro che operano nelle diverse istituzioni e strutture.
Proviamo quindi a seguire lo stile di Mattarella, che sa farsi ascoltare senza alzare la voce, che sa imporsi senza protagonismo, che sa consigliare senza intromettersi, che sa rappresentarci senza invadenza, che sa volerci bene anche se non lo meritiamo.