Quando sono costretto dalle contingenze fisiche (non sempre infatti riesco a cambiare repentinamente canale o a voltare immediatamente la pagina), a sentire o leggere, mio malgrado, le dichiarazioni politiche (?) dei pentastellati, sguinzagliati dal loro furbastro burattinaio, ho l’impressione di avere a che fare con persone che fortuitamente si trovano a ricoprire ruoli istituzionali, gente che passa di lì per puro caso, soggetti che rappresentano, sì e no, solo loro stessi, che sparano cazzate a salve.
Luigi Di Maio è la punta di diamante di questi presuntuosi apprendisti stregoni della politica italiana: la boutade sul ridimensionamento delle pensioni d’oro per risanare le casse erariali è fin troppo eloquente al riguardo. Si tratta di proposte lanciate alla viva il parroco, che durano pochi minuti, fino all’incipiente ed inevitabile smentita e servono solo a tenere caldo il bar sport del dibattito fasullo e assordante.
Non è il caso di entrare nel merito di queste cavolate. Ritengo tuttavia che valga la pena discutere sull’atteggiamento da riservare a queste provocatorio modo di (non) fare politica. Registro la tendenza a controbattere, a rispondere polemicamente, a prendere sul serio le insistenti grida, a cadere nel tranello di un falso dibattito. Non voglio rifugiarmi in una concezione aristocratica della politica, arrivando ad assimilarla alla musica, ma…
A tal proposito ricordo come mia sorella Lucia amasse la musica. Questa passione, ereditata da papà, incombeva sulla sua vita: soprattutto l’opera lirica, il melodramma verdiano in particolare, ha condito ed alimentato il suo animo. Una passione abbinata a competenza acquisita sul campo. Mi raccontava come una volta ebbe l’ardire di attaccare discorso musicale con un frate effettivamente molto preparato nel campo, persona amabile ma piuttosto originale. Prima di interloquire volle fare una rapida verifica e chiese ad un suo collega garanzie sulla affidabilità di mia sorella in materia di opera lirica. Solo dopo avere avute le rassicurazioni del caso, proseguì il dialogo. In materia musicale infatti non si scherza. Tutti possono improvvisarsi allenatori di calcio, ma non direttori d’orchestra.
Forse anche per la politica potrebbe valere questa pregiudiziale, magari non per il cittadino medio o per lo sprovveduto, incolpevole elettore, ma almeno per chi svolge certe funzioni o si candida a guidare il Paese. Sarei propenso a riservare una sorta di dibattito-sfogatoio parallelo in cui tutto è possibile dire, come avvenne tempo fa con i microfoni aperti di radio radicale, relegando il discorso pentastellato ad esercitazione da social di infimo livello. Potrebbe essere anche pericoloso, ma non vedo sinceramente l’opportunità di dialogare con chi vuole solo provocare: si è sempre perdenti.
Agli esordi del movimento grillino mi illudevo che questa nuova formazione potesse arginare in qualche modo la crescente avversione popolare verso la politica, rappresentandone a livello istituzionale le pulsioni dopo averle filtrate e sciacquate in Arno. Purtroppo il discorso si è capovolto: è successo che Montecitorio si è trasformato nel bar della politica e l’antipolitica è diventata l’alimento istituzionale del Paese.
Non mi convincono coloro che si illudono, magari strumentalmente, di recuperare quanto di positivo può esserci nel contenitore pentastellato: mi sembrano quelli che vanno a rovistare fra i rifiuti per trovare qualcosa di utile e riciclabile. Se la politica è ridotta così…