Di fronte al dilagante scandalo delle molestie sulle donne, che sembra non risparmiare alcun ambiente, alcuna zona geografica ed alcuna forza politica, è necessario porsi domande molto serie, tali da mettere in discussione le basi culturali del nostro vivere civile.
Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Austria sono invasi da denunce di donne, che sostengono di essere state violentate, stuprate e, nella migliore delle ipotesi, molestate da uomini di potere. Sì, perché il comune denominatore di queste vicende starebbe nel fatto che i protagonisti attivi sarebbero persone che hanno approfittato della loro posizione dominante per ottenere, con violenza o con ricatto, i favori di donne, a loro più o meno vicine, in cambio, probabilmente, della promessa, diretta o indiretta, di altri favori: un perverso e sommerso “do ut des” che sta venendo a galla.
Tutto ciò francamente non mi sorprende: il marciume della nostra società si basa molto sul sesso e ruota intorno ad esso. Non è un caso se le prostitute di professione hanno da sempre sostenute che il mercato sessuale va ben oltre le loro “canoniche” prestazioni per coinvolgere ambienti altolocati e “perbene”; è ridicolo prendersela con i modesti utilizzatori finali della prostituzione stradaiola, quando fior di personaggi dell’alta società, sotto copertura, attingono ad un mercato ben più vasto e delinquenziale da loro stessi impostato su “perfide e subdole marchette” ricattatorie; è limitativo circoscrivere lo sfruttamento della prostituzione ai “classici magnaccia”, peraltro protagonisti anche della tratta delle immigrate, per chiudere gli occhi sui “magnaccia di alto bordo”, che sfruttano segretarie, giornaliste, attricette e via discorrendo.
È però vero che anche sul fronte femminile c’è qualcosa che non va. Faccio una certa fatica a classificare certi comportamenti. Se la libera scelta di prostituirsi alla luce del sole è a mio giudizio rispettabile, se la costrizione violenta a prostituirsi delle ragazze immigrate risulta evidente e rappresenta un fenomeno di vera e propria schiavizzazione, nelle molestie del bel mondo faccio molta fatica a capire fin dove le donne subiscono ricatti e violenze e magari tacciono per vari motivi e dove invece si prestano, seppure da posizione scomoda e subalterna, ad alimentare un sistema che le coinvolge e le intontisce. Le clamorosamente tardive denunce non mi convincono: c’è senz’altro la storica difficoltà ad esporsi, c’è sicuramente il timore di pagare un secondo prezzo ancor più salato del primo, c’è il condizionamento di una situazione ambientale troppo forte per essere attaccata. Tuttavia il discorso è simile a quello mafioso: se nessuno ha il coraggio di reagire nei modi e tempi giusti, il dopo rischia di diventare una pura rivalsa, che non risolve il problema né a livello personale né a livello sociale. Viene sollevato un gran polverone (pur sempre meglio del tenere tutto sotto traccia) dove non si capisce niente e il mondo continua ad andare per la sua strada storta.
Credo che la forza di cambiamento di cui è portatrice il mondo femminile possa riguardare anche questo fenomeno: se va combattuta da parte delle donne l’emarginazione derivante dal sottosviluppo e dalle religioni, se va combattuto lo schiavismo che si annida nei gangli dell’immigrazione clandestina, se va perseguito il discorso della parità fra i sessi ancora di là da venire, bisogna mettere in conto anche la guerra contro la subordinazione sessuale della donna all’interno del sistema di potere delineato sostanzialmente ad uso e consumo maschile.
Quando affermo che la donna nella nostra società ha ottenuto più parità di difetti che di diritti, intendo dire che deve liberarsi dalle trappole che la imprigionano, senza che se ne renda conto fino in fondo e senza trovare la forza di reagire a livello personale e comunitario, deve cioè avere il coraggio di rifiutare un sistema che prevede, fra le sue “regole”, anche le molestie sessuali.