Mio padre lasciava volentieri a mia madre il compito di tenere i rapporti con la maestra, poi il maestro, poi i diversi professori della scuola media inferiore e dell’istituto tecnico commerciale. Non se ne disinteressava, ma riteneva che mia madre fosse più adatta a svolgere questo ruolo, per il suo tratto elegante, per il suo carattere molto controllato e per la spiccata virtù di sapere stare al proprio posto. Si era imposto infatti una regola e l’ha sempre rigorosamente applicata: “Mo vót che mi digga quél a un profesór, par poch ch’al nin sapia al nin sarà sempor pu che mi”.
Verso il mondo della scuola vige invece e purtroppo l’inversa regola dell’intromissione: tutti criticano, tutti hanno la ricetta giusta, tutti si sentono protagonisti indiscussi e indiscutibili. È il motivo per cui ritengo “impossibile” riformare la scuola: si sbaglia sempre. Ci hanno provato in tanti. Possibile fossero e siano tutti degli incapaci. Non sarà piuttosto che gli attori cercano di scansare le indicazioni del regista?
Gli insegnanti si sentono intoccabili anche perché si devono difendere dall’invadenza delle famiglie che scaricano sistematicamente su di essi le colpe degli insuccessi dei loro figli.
Gli studenti si ribellano a tutto, sempre e comunque, in tutto vedono lo scavalcamento dei loro diritti e reagiscono scompostamente. È successo nelle piazze italiane contro i progetti scuola-lavoro. Non ho capito la sostanza di queste proteste al di là dei soliti slogan triti e ritriti. Sono stato studente anch’io e come tale ho partecipato a tante proteste miranti a svecchiare il sistema scolastico ed a renderlo aperto e partecipato.
Se rimane qualcosa di superato e di chiuso nell’impostazione scolastica, sicuramente un modo per aprire le porte può essere quello di istituire rapporti di collaborazione tra il mondo della scuola e quello del lavoro: la scuola dovrebbe preparare alla vita e quindi soprattutto ad una professione; il lavoro dovrebbe rappresentare un riferimento imprescindibile anche per lo svolgimento del percorso scolastico. Non capisco quindi questa sorta di ostilità preconcetta, questo comodo scetticismo studentesco, come se le esperienze lavorative fossero una distrazione o una oppressione nelle libere scelte degli indirizzi scolastici. Dovrebbe essere esattamente il contrario.
Certo, si potranno correre rischi di confusione o di sovrapposizione, si potranno creare disfunzioni e illusioni. Si tratta però di una strada da perseguire, checché ne sbraitino gli studenti, che vedo sempre più passivamente arroccati nel loro mondo nuvoloso, tra bamboccionismo, menefreghismo, illusionismo e ribellismo. Gli studenti possono avere mille ragioni di protesta per le prospettive assai incerte che li aspettano, per le difficoltà di sbocco professionale al termine del loro percorso didattico, ma proprio per questo dovrebbero salutare positivamente i tentativi di collegamento in itinere tra studio e lavoro.
Sulla scuola si gioca una partita fondamentale e decisiva per il futuro della società. Bisogna che tutti si aprano alle novità, agli esperimenti, alle riforme. La politica faccia il suo dovere senza rincorrere i consensi a tutti i costi, i sindacati la smettano di corporativizzare gli insegnanti, le famiglie abbiano l’umiltà e la disponibilità a collaborare con i dirigenti e i docenti della scuola di ogni ordine e grado, gli studenti impieghino al meglio il tempo sfruttando tutte le occasioni che vengono loro offerte. Il tempo della conflittualità è finito, è inutile cercare il nemico che non c’è, è assurdo scendere in piazza solo per fare un po’ di casino in un nauseante mix tra goliardia e politica.