Quando sento parlare e leggo di servizi segreti (dovremmo prima di tutto avere il coraggio e il realismo di chiamarli per quel che sono, vale a dire “spie”), sono tentato di circoscrivere l’argomento aiutandomi con quanto sostenevano due personaggi del secolo scorso: Guglielmo Zucconi, un giornalista sagace e brillante prestato per un certo periodo alla politica; Aldo Moro, uno statista prestato alla Democrazia Cristiana.
Il primo osservava argutamente come in Italia si pretenderebbero i servizi segreti pubblici: vorremmo cioè che l’intelligence operasse alla luce del sole, senza sotterfugi, con tutti i crismi della legalità. Il modo di essere dei servizi segreti è l’esatto contrario, la deviazione non è l’eccezione ma la regola, il tradimento è all’ordine del giorno in entrata e in uscita, le matasse vengono ingarbugliate ad arte e si finisce inevitabilmente per rimanere prigionieri nel labirinto dello spionaggio e del contro-spionaggio.
D’altra parte non è forse vero che persino i film in questa pur affascinante materia finiscono con l’essere incomprensibili: più sono incasinati è più sono belli e probabilmente rispondenti alla realtà. C’è una differenza sostanziale fra la realtà romanzata e quella vera: da una parte abbondano vicende di sesso, dall’altra questioni di terrorismo e guerre di potere.
Aldo Moro, mi risulta da fonti attendibili anche se non ufficiali, affrontava questo argomento con distacco e scetticismo e osservava con estremo disincanto: «Da che mondo è mondo le spie sono sempre state le peggiori persone esistenti…». La filastrocca infantile la dice lunga al riguardo: “Chi fa la spia non è figlio di Maria, non è figlio di Gesù, quando muore va laggiù, va laggiù da quell’ometto che si chiama diavoletto”.
E noi vorremmo difendere la nostra democrazia utilizzando soggetti che storicamente non hanno fatto altro che tramarle contro; vorremmo controllare l’operato di personaggi che dell’imprevedibilità e del trasformismo fanno il loro stile di comportamento; desidereremmo eliminare lo sporco usando pulitori che sguazzano nel “rudo”.
Ci riempiamo la bocca di anti-terrorismo basato sull’operato delle spie e della loro collaborazione. Diciamo la verità: questa gente è più pericolosa dei terroristi, è totalmente inaffidabile, si confonde col nemico e diventa essa stessa uno sgusciante e occulto avversario. Sull’auspicio che le intelligence possano addirittura lavorare assieme con un obiettivo comune, scambiarsi informazioni, tessere una tela avvolgente e protettiva, dobbiamo ammettere di essere dei visionari, gente che non sa quel che dice. Se pensiamo di contrastare il terrorismo con le armi dello spionaggio, stiamo freschi…lo spionaggio ha coperto e alimentato il terrorismo nero, rosso, giallo e verde, trasformando addirittura, a volte, il terrorismo in stragi di stato.
A sconfiggere le brigate rosse non sono state le infiltrazioni degli agenti segreti, ma la legge sul pentitismo agganciata alla tenuta delle istituzioni democratiche, dei partiti e dei sindacati. Per analogia a vincere il terrorismo cosiddetto islamico non saranno le spie europee o americane o israeliane o addirittura di certi paesi arabi, vinceremo se la nostra democrazia saprà tenere botta, cambiando l’approccio a molti problemi internazionali e nutrendosi con l’accoglienza e l’integrazione dei musulmani. Delle spie non c’è da fidarsi, perché uno se le ritrova sempre e comunque contro: giocano in proprio, non sono figli di nessuno e ci portano all’inferno.