All’inizio degli anni sessanta, ancora bambino, mi trasferii con la mia famiglia da un vecchio e decadente immobile, sito nel cuore dell’oltretorrente, a un appartamento nuovo di zecca classificabile nell’edilizia economica e popolare, ma comunque, per l’epoca all’inizio degli anni sessanta, dotato di tutti i comfort.
Dopo qualche tempo ci accorgemmo che una stanza era in estate più calda delle altre: niente di strano, pensammo, sicuramente era la più esposta al sole e quindi nella stagione estiva accumulava il conseguente calore. Ci consolammo pensando che in inverno sarebbe stata la stanza più calda. Manco per sogno, nella stagione invernale era la stanza più fredda e quindi bisognosa di riscaldamento. Mistero che tentammo di spiegare con le correnti d’aria, ma mia madre acutamente ci fece osservare che dalla finestra di quel locale non entrava aria, era quasi protetta: anche quell’ipotesi fu scartata e per diversi anni ci tenemmo con rassegnazione quella stanza misteriosa e poco accogliente.
Negli anni ottanta, divenuto adulto, proposi ai miei famigliari di verificare la possibilità di inoltrare al comune domanda di condono per sanare con una piccola penalità eventuali irregolarità edilizie contenute nell’appartamento, che, peraltro, avevamo acquistato dall’impresa costruttrice. Diedi l’incarico ad un collega geometra che istruì la pratica: sapete qual era la maggiore irregolarità o anomalia? Un muro perimetrale era molto più sottile di quanto progettato ed era proprio il muro esterno della stanza misteriosa, che lasciava passare caldo e freddo molto più di quanto sarebbe dovuto succedere. Risolto l’enigma anche se quella camera continua ad essere ancor oggi la meno confortevole.
Il racconto di questo piccolo aneddoto ha lo scopo di evidenziare come negli anni del boom edilizio si costruisse con una certa disinvoltura al limite dell’irresponsabilità, aiutati dalla scarsa attenzione degli enti controllori, preoccupati di incrementare il volano economico che l’edilizia rappresentava per l’intera economia: l’importante era costruire, dare una casa dignitosa a che non l’aveva, far lavorare la gente, far circolare il denaro, creare benessere economico.
E la gente dove trovava le risorse per acquistare i nuovi alloggi? Anche dai guadagni che realizzava col duro lavoro di una miriade di piccole aziende artigiane a carattere famigliare, nelle cantine e nei garage delle grandi città, senza pagare tasse e contributi. Lo Stato sapeva, ma chiudeva gli occhi, l’importante era produrre, creare ricchezza, mettere in circolo danaro, consumare e investire. L’economia così tirava ed il benessere infatti non l’hanno creato l’Iri, l’Eni, la Fiat, ma i lavoranti in nero nelle cantine di Milano, Torino, Genova, etc.
E l’agricoltura? Venne sostenuta con agevolazione e soldi pubblici: gli affittuari vennero aiutati a comprare i poderi su cui lavoravano e anche l’imprenditoria agricola ebbe una spinta notevole per chi voleva rimanere nelle campagne, mentre per chi preferiva l’aria di città era possibile lavorare nell’industria. Un benessere gonfiato, che viaggiava sui binari dell’illegalità, sull’urbanizzazione selvaggia e sull’evasione fiscale, che otteneva aiuti di stato diretti e indiretti.
Nel meridione la mafia seppe naturalmente sfruttare queste opportunità e il divario nord-sud si accrebbe con l’inevitabile migrazione interna, foriera di problemi notevoli a livello sociale.
Quando ci chiediamo il perché del pressappochismo urbanistico causa di disastri, quando ci scandalizziamo per il vergognoso fenomeno dell’evasione fiscale che condiziona il ruolo dello Stato, quando ci stupiamo dell’illegalità diffusa che caratterizza la nostra società, pensiamo allo scriteriato benessere di cui abbiamo usufruito in passato, costruito sulle fragili basi di cui sopra. I terremoti che sgretolano il nostro patrimonio edilizio, il debito pubblico che frena la ripresa della nostra economia, la corruzione che succhia risorse distogliendole da fini ben più positivi ci dovrebbero costringere all’autocritica, riandando indietro nel tempo e smettendola di scaricare le colpe solo su chi governa ed ha governato.
Non sarà facile cambiare registro. Il boom economico non si ripeterà. L’illegalità ci distruggerà. Smettiamola di piangere sul latte versato e di cadere dalle nuvole. Partiamo dall’onestà intellettuale di ammettere gli errori commessi nello sfruttare le situazioni contingenti rinviando al futuro le difficoltà. Il conto sta arrivando e non lo possiamo ritornare al mittente, anche perché trattasi di un ragioniere spietato che butta tutto all’aria.