Dovranno urlare con molta forza i musulmani di Spagna e di tutto il mondo per coprire il rumore delle bombe artigianali scoppiate nel covo terroristico organizzato a Barcellona da un imam, morto assieme ad altri correligionari nell’esplosione di un appartamento imbottito di bombole di gas da far scoppiare in ben altri luoghi e situazioni, uomo investito quindi di un compito religioso, pressappoco un prete musulmano per dirla con il nostro linguaggio.
Pur ammettendo che parlare di terrorismo islamico tout court sia una forzatura, pur capendo, per quanto mi è possibile nell’ignoranza religiosa che mi ritrovo, che la dottrina islamica non sia di per sé un invito alla violenza contro i non credenti, pur concedendo ai musulmani tutte le attenuanti di un passato storico vergognosamente a loro ostile, pur spazzando via tutti i luoghi comuni costruiti sui collegamenti tra migrazione e terrorismo, pur considerando i contesti socio-economici che possono in qualche misura favorire il cosiddetto radicamento, premessa al fanatismo terroristico, pur tenendo conto che in tutte le religioni esistono dei margini di equivoco tali da innescare devianze fanatiche (nel Vangelo non direi proprio, semmai nella Bibbia che, infatti, senza lo sbocco evangelico perde la sua affidabilità), c’è qualcosa di equivoco e di estremamente imbarazzante nel comportamento religioso dei musulmani a cominciare proprio dai loro imam, personaggi, in parecchi casi, assai discutibili nella loro predicazione e nella loro testimonianza.
Ha ragione Fra Francesco Patton, Custode francescano di Terra Santa quando afferma autorevolmente: «Bisogna capire se davvero la religione è la motivazione reale della guerra. Lo scontro del Medio oriente, ad esempio, è tutto interno all’Islam, tra sunniti e sciiti. Dall’esterno possiamo incidere poco. È invece dall’interno del mondo musulmano che può e deve venire la spinta al cambiamento. Penso che questo sia un compito delle autorità religiose e delle istituzioni culturali. È accaduto così anche nel mondo cristiano. La spinta al rinnovamento del Concilio Vaticano II è venuta dall’interno della Chiesa. Solo dall’interno può maturare una concezione dell’Islam che ripudi la guerra».
Non basta quindi gridare in piazza che “questo non è Islam” con riferimento agli attentati terroristici, non bastano le lacrime sincere delle donne velate, non bastano le loro giuste paure per la vendetta che cova nell’animo occidentale, non basta contare le innumerevoli vittime musulmane provocate dai fanatici stessi (a noi occidentali, che facciamo i perbenisti, purtroppo fanno lo stesso effetto delle vittime all’interno delle faide mafiose), non basta ammettere che in tutte le famiglie ci sono le pecore nere (sarebbe meglio dire che in tutte le comunità ci sono le famiglie nere), non basta!
Occorre qualcosa in più, da parte dei musulmani, più o meno integrati nel nostro sistema, e da parte nostra, più o meno disponibili a vivere in una società multirazziale, multiculturale e multireligiosa. Dice ancora Fra Patton: «Se ci combattiamo a colpi di rivincite storiche non se ne esce più». I musulmani taglino quindi ogni e qualsiasi legame con lo storico astio post-coloniale, rispettino la civiltà delle popolazioni in cui si sono inseriti, abbiano il coraggio di modernizzare la loro religione e di toglierla dagli equivoci. Noi occidentali non smettiamo di dialogare, di aprirci, di convivere in pace con questi nostri concittadini (ius soli concedendo). Abbandoniamo i tatticismi della realpolitik, le sporche convenienze economiche, le paure globalizzate, le illusioni dei muri e delle barriere. Il dialogo non ha alternative: o così o così!