Cosa mi sta succedendo? Mi allontano dalla politica e mi riavvicino al calcio? Paradossi della mia terza età? No, solo la voglia di rilassarmi uscendo dalla mia ipercritica torre d’avorio. Forse per mettere a posto la coscienza, in senso famigliare e sociale, ho ripreso da qualche tempo a seguire, seppure a distanza, la squadra del Parma calcio. Perché famigliare? Si tratta di una eredità paterna, una sua debolezza piena di significato e di insegnamenti. Perché sociale? Sempre meglio legare il calcio alle vacche magre della comunità locale piuttosto che rincorrere il vomitevole mercato delle vacche grasse.
E allora parliamo un attimo di questo Parma calcio riveduto e rilanciato. Non mi hanno convinto le scelte societarie durante lo scorso campionato: tuttavia i risultati mi hanno dato torto, c’è scappata la promozione in serie B. Non mi convince l’assetto della squadra approntata per la serie B e non vedo molta convinzione a livello societario e nemmeno a livello della tifoseria. Spero di essere smentito dai fatti.
Ripesco dalla memoria un giudizio che mio padre formulava sconsolatamente sulla squadra di calcio parmense. Le voleva bene, la seguiva con interesse e partecipazione, non ci faceva una malattia, ma tifava e soffriva in silenzio. Alla fine spesso concludeva con un’amara constatazione tecnica (lui che non si avventurava mai in critiche ad allenatori): «Il Parma, diceva, può vincere o perdere, ma il fatto è che non ha un gioco…le altre squadre possono essere migliori o peggiori, ma comunque hanno un loro schema di gioco…».
Dopo la faraonica sbornia “tanziana”, che in un certo senso non fa testo, siamo tornati coi piedi per terra e il Parma, come diceva mio padre, si ritrova senza un gioco. Qualcuno si accontenterà dei risultati, che finora non sono mancati: in due anni dalla famigerata quarta serie alla dignitosa e interessante serie cadetta. Ma se questi traguardi non sono accompagnati e conquistati col gioco, che senso ha appassionarsi al calcio che è il più bel gioco del mondo? Il Parma gioca male? Direi, alla luce di quel che ho potuto vedere dalle cronache televisive (è poco ma sufficiente): non gioca, salvo qualche raro sprazzo, più personale che di squadra.
Ricordo di avere interrotto il mio seguito al calcio parmense nel pieno dell’avventura della serie A: si giocava una partita di cartello e mi ritrovai a soffrire per il risultato in bilico. Mi scossi e pensai: soffro? Ma per chi soffro? Per la mia squadra? No, per la squadra di Tanzi, legata ai suoi interessi imprenditoriali!. Basta e avanza… Fui, in un certo senso facile profeta. Non bastò il fascinoso e perbenistico afflato di Nevio Scala, uomo di grande levatura morale e di forte sensibilità umana e sociale.
Ricominciare dal basso mi ha sdoganato dai sistemici propositi contestatori. Nelle serie minori mi ritrovo a casa mia anche se non ho ancora avuto il coraggio di rimettere piede allo stadio Tardini. Sono un perdente, non mi interessa vincere, mi piace divertirmi in modo semplice e pulito. Ma se non si gioca, casca l’asino.
Così come il Parma di Tanzi era specchio fedele della megalomania della città, l’attuale Parma del non gioco assomiglia molto alla città della non politica. E dalli con questo tasto. È più forte di me…Anche se la politica voglio farla uscire dalla porta, eccola rientrare dalla finestra. Tutte le occasioni sono buone. Forse però è meglio parlarne in piazza anziché allo stadio. Ci penserò.