Strana la nostra città e altrettanto strana la nostra diocesi. L’amicizia e la gentilezza di mons. Domenico Magri mi consentono di leggere con grande interesse i profili da lui appassionatamente tracciati di tanti sacerdoti, che hanno fatto la storia della Chiesa di Parma. Pur sgrossando tali ricordi dall’inevitabile enfasi e da un certo automatico stile agiografico, emerge da questa viva memoria storica uno spaccato ecclesiale di grande vivacità culturale, sociale e religiosa.
Dopo avere letto queste toccanti e profonde rivisitazioni mi viene spontaneo chiedermi: perché tanta apparente discontinuità tra un passato fervido e vivace e un presente così asciutto e statico. Ho una mia spegazione del tutto personale. È pur vero che le apparenze ingannano e quindi è possibile che del passato emerga un’immagine esageratamente positiva così come del presente emerga una fotografia smorta e opaca. Alti e bassi nella vita di una comunità non sono l’eccezione, ma la regola e penso sia così anche per una comunità cristiana. In fondo credo che la memoria della prima comunità cristiana emergente dagli Atti degli Apostoli sia un po’ troppo elogiativa e celebrativa: si intravedono tuttavia qua e là contrasti, divergenze e discussioni, cose normali e oserei dire positive. D’altra parte lo stesso papa Francesco dice: «Per favore, che nelle vostre comunità mai ci sia indifferenza. Comportatevi da uomini. Se sorgono discussioni o diversità di opinioni, non vi preoccupate, meglio il calore della discussione che la freddezza dell’indifferenza, vero sepolcro della carità fraterna».
Temo proprio che la differenza tra passato e presente, riferita alla diocesi di Parma, sia questa: il passato, pur tra le “stecche” di contraddizioni ed errori, alcuni anche gravissimi, veniva riscattato dagli “acuti”, dai “do di petto” di parecchi sacerdoti. L’opera poteva essere monotona e persino insopportabile, ma sul più bello arrivavano certi interpreti che salvavano la baracca col loro coraggio e con la loro lungimiranza. Il presente è invece piattamente e tiepidamente allineato e coperto, non si sentono voci discordanti, nessuno stona perché nessuno canta ad alta voce, tutti, o quasi tutti, solfeggiano e se la cavano senza infamia e senza lode.
La storia di Parma e della sua Chiesa viaggiano in parallelo: le morbide convergenze dello status quo. E non c’è verso di schiodare la diocesi da questo insopportabile piattume. Mi auguro che sotto la crosta dell’immobilità qualcosa si muova: è infatti difficile valutare la consistenza e la vitalità del regno di Dio, ma questo non deve essere un alibi per accontentarsi.
Non pretendo che tutti i sacerdoti di Parma abbiano la verve profetica e contestatrice di don Luciano Scaccaglia. Qualcuno mi dirà che don Scaccaglia ha commesso degli errori. E chi non ne commette! Non si tratta di giudicare e di dare i voti, ma di recuperare un atteggiamento, uno stile vivace e innovativo. È qui che la nostra diocesi lascia alquanto a desiderare. Non voglio tuttavia dare la colpa solo al vescovo ed ai sacerdoti. Sarebbe scorretto e comodo. I laici si devono prendere tutte le loro responsabilità. Il brutto è che se ci spostiamo sul laicato lo troviamo ancor più asfittico e “passo” del clero. Una cosa è certa: diamoci tutti una mossa, guardiamo indietro al fine di prendere la rincorsa. Poi magari cadremo, scivoleremo, ci stancheremo, ma avremo la spinta per andare avanti.