Il mio direttore, in un momento di particolare frustrazione, mi confessò, con malcelato atteggiamento rinunciatario, la sua crisi burocratica: «Un direttore perfetto dovrebbe dare l’ordine, per poi eseguirlo in proprio ed autocontrollarne la esecuzione stessa». Solo così infatti si avrebbe la certezza che l’iter burocratico di una qualsiasi pratica giunga a conclusione positiva. Amara ma realistica ammissione di impotenza.
Questo ricordo, peraltro ripetutamente sperimentato nella mia vita professionale, mi “perseguita” ancor oggi ogni volta che mi imbatto, direttamente o indirettamente, in episodi di ostruzionismo burocratico. Alle fastidiose esperienze dirette si aggiungono gli immancabili e ricorrenti episodi di cronaca.
Quando sento il presidente del consiglio o un ministro esprimere una decisa volontà di rinnovamento, più che dubitare della sua buona fede e della sua capacità politica, mi viene spontaneo chiedermi quali e quanti bastoni fra le ruote gli porrà la macchina amministrativa. Qualsiasi provvedimento emanato dal potere legislativo e da quello esecutivo trova un immediato problematico riscontro a livello burocratico: il provvedimento infatti deve essere, quasi sempre, accompagnato da decreti attuativi, dalle circolari ministeriali, dalla prassi operativa dei vari uffici pubblici interessati. In questi meandri la volontà del legislatore e/o del governante viene spesso rallentata, frenata, stoppata, fuorviata, snaturata, annullata: non per incompetenza o incapacità (abbiamo fior di funzionari con grande esperienza e notevole preparazione), ma per istinto conservativo, per mancanza di volontà, per quieto vivere, per renitenza ad assumere responsabilità ed a correre i rischi conseguenti.
Voglio riportare, a costo di ripetermi, alcuni episodi emblematici di questi atteggiamenti invadenti ma bloccanti della burocrazia. Parto dall’alto e vado verso il basso.
Un importante avvocato nell’anticamera di una commissione tributaria svelò un segreto di pulcinella: in campo fiscale le risoluzioni ministeriale in risposta ai quesiti dei contribuenti conterrebbero volutamente margini di incertezza al fine di dribblare le responsabilità del funzionario in alto grado che le firma e ne dovrebbe rispondere. Tutti annuirono, nessuno smentì o mise in dubbio quella rivelazione. Cosa gravissima se vera, impossibile da dimostrare. A giudicare dall’equivocità di gran parte delle interpretazioni si direbbe proprio che questa prassi risponda al vero.
Durante un convegno di carattere fiscale a cui partecipavano alti funzionari ministeriali, uno di essi, alla stringente domanda di un convegnista, ribattè candidamente che prima di rispondere avrebbe dovuto valutare l’impatto sulle casse erariali, con tanti saluti alla certezza del diritto e alla coerenza amministrativa. Fosse stato presente il Ministro, come minimo, avrebbe dovuto cavare un occhio a quel suo collaboratore incauto, sciocco, e incompetente.
Il giorno dopo l’approvazione definitiva di un provvedimento di legge in materia fiscale, pubblicato tempestivamente dalla stampa specializzata, contenente un’agognata norma agevolativa, un mio collega si presentò all’ufficio interessato per presentare una pratica e si vide negare perentoriamente l’agevolazione approvata dal Parlamento. Subentrai nella procedura e mi recai dal capo-ufficio con il testo di legge e lo consegnai con delicatezza nelle sue mani: lo lesse e lo rilesse per alcuni minuti, evidentemente non lo conosceva (niente di male, era appena stato sfornato). Alla fine confermò l’applicabilità e allora ebbi l’ardire di chiedere un suo intervento sull’impiegato recalcitrante. Lo fece tramite citofono e capii che lo sportellista non ne voleva sapere. Il capo fu costretto a venire di persona ad impartire l’ordine sotto il mio sguardo piuttosto compiaciuto. La pratica andò a posto, ma non ebbi più l’ardire di rivolgermi a quel funzionario, che per sua ignorante testardaggine si era messo nella condizione di essere necessariamente mortificato.
Dovevo rinnovare l’esenzione al ticket in materia sanitaria per i miei genitori molto anziani: mi recai alla stanza dove venivano sbrigate queste pratiche. C’era una certa fila e rimasi sorpreso che tutti rimanessero in attesa pur essendo libero uno dei due funzionari addetti. Mi lasciarono tranquillamente il passo, entrai ed esposi il problema. Mi sentii rispondere in stile piuttosto sgarbato, ma soprattutto in modo completamente sconclusionato. Mi azzardai a controbattere e vidi che il collega da un’altra scrivania guardava preoccupato la situazione con la coda dell’occhio. Capii tutto, rimisi la pratica in borsa e uscii piuttosto contrariato e sconcertato. Se non altro avevo scoperto perché nessun utente avesse il coraggio di interloquire con quell’impiegato maldestro. Per saltarci fuori mi recai presso un patronato.
Gravi indizi di una mentalità burocratica che sembra avere lo scopo di neutralizzare le riforme, di rendere difficile l’applicazione delle leggi, di evitare grane e responsabilità, di mantenere lo status quo, di conservare il proprio potere di interdizione: una sorta di ricatto corporativo inaccettabile e paralizzante.
Più volte mi è capitato di fare una battuta sui governanti prigionieri della macchina burocratica: “nemmeno se il ministro della funzione pubblica fosse san Giuseppe ci si salterebbe fuori…”. Oltre tutto sbaglio sempre il santo: troppo umile e remissivo. Forse si potrebbe provare con san Tommaso capace di ficcare il naso in pratiche molto delicate, complicate ed importanti.