Estate calda in Vaticano. Il cardinale George Pell si congeda dall’incarico di prefetto della Segreteria per l’economia, dopo essere stato incriminato per abusi sessuali e stupro, che avrebbe compiuto su minori negli anni ’70 quando era prete in Australia. Le finanze vaticane continuano ad essere nell’occhio del ciclone, anche se questa volta il temporale è scoppiato per questioni ancor più delicate e scandalose.
Il cardinale Pell ha tutto il diritto di difendersi, le accuse non significano colpevolezza. Pur ammettendo la gravità delle ipotesi di reato e pur considerando la vastità del fenomeno della pedofilia a livello di clero, colpevolmente coperto nel tempo, mi pare di scorgere talora un certo compiaciuto accanimento: lo dico non certo per alleggerire la gravità di vicende sconvolgenti, ma un conto è il terrificante fenomeno mai sufficientemente condannato e combattuto, un conto è il dovere di cronaca senza alcun riguardo verso altolocati uomini di Chiesa, un conto il pericolo di sottoporre mediaticamente (forse) a processi sommari alcuni personaggi coinvolti. Lo dico e lo scrivo, dopo avere a suo tempo avuto il coraggio di interrompere l’omelia di un sacerdote, che in buona fede prendeva un granchio tremendo, riducendo la pedofilia a calunnioso e pretestuoso attacco alla Chiesa, mettendola fra le vittime al posto dei soggetti abusati.
Come minimo, il cardinale Pell, che sapeva da tempo di queste pesantissime accuse nei suoi confronti, avrebbe dovuto dimettersi molto prima, al fine di chiarire la sua posizione sul piano giudiziario e senza nascondersi dietro incarichi prestigiosi a livello di curia vaticana.
Il giorno successivo, preceduta da indiscrezioni di stampa, avviene la nomina di un nuovo prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, l’arcivescovo spagnolo Luis Ladaria Ferrer, che sostituisce il cardinale tedesco Gerhard Müller. Anche sul capo del nuovo responsabile dell’ex Sant’Uffizio si scatena un temporale: nel 2016 avrebbe firmato, come segretario della Congregazione stessa, un decreto di riduzione allo stato laicale di un sacerdote italiano per abusi sessuali su minori, senza operare denunce alle autorità italiane, con la raccomandazione ai suoi diretti superiori di far sì che la nuova condizione del sacerdote non desse scandalo ai fedeli e di divulgare la notizia soltanto in caso di “pericolo di abusi su minori”. Abusi che purtroppo avvennero nel silenzio dell’autorità ecclesiastica competente, che dichiara di non essere venuta a conoscenza di questi ulteriori fatti.
Vicenda molto brutta in cui l’arcivescovo Ladaria non è coinvolto direttamente, ma nella quale la Congregazione, di cui era segretario, non ha certo brillato per trasparenza e intransigenza, atteggiamenti peraltro raccomandati da papa Francesco e prima ancora da papa Benedetto. Il comportamento rispecchia un’osservanza meramente canonica delle procedure, ben lontana dall’impegno etico e religioso per la difesa delle vittime (effettive e potenziali) e per la bonifica del marciume esistente nella Chiesa. Non è ancora acquisito del tutto il concetto del mettere in primo piano le vittime (le autosospensioni di Componenti della Commissione anti pedofilia la dicono lunga).
I due casi, quello del cardinale Pell e questo dell’arcivescovo Ladaria non sono uguali e non si può fare quindi di ogni erba un fascio. Tuttavia il male della pedofilia è ben lontano dall’essere estirpato e la chiarezza, sul passato e sulle procedure per il futuro, è lungi dall’essere fatta una volta per tutte.
Questa lunga premessa non tanto per ribadire la gravità di queste situazioni, ma per esprimere la sorpresa davanti a vicende che scoprono la debolezza di papa Francesco nei confronti della curia vaticana, di cui sembra essere un corpo estraneo (e mi può andare bene), ma anche un interlocutore un tantino distratto (e questo non va bene). Ho l’impressione che a mettere le mani nel ginepraio curiale si finisca inesorabilmente per pungersi. Oltre tutto nessuno offre a Francesco i guanti protettivi: lo vedo allo sbaraglio. Probabilmente è il suo tallone d’Achille. Credo che, quando chiede insistentemente preghiere, alluda a questa sua difficoltà.
A mio modesto giudizio, più che ad operare delle sostituzioni sarebbero opportuno puntare a disboscare, tagliare, ridurre, reimpostare. Facile a dirsi, difficile a farsi. Sulla nuova nomina a Prefetto della Congregazione della Fede grava un macigno che andava valutato prima: la cosa era nota. Ladaria non parte certo con il vento in poppa.
E se si smantellasse questo residuato bellico del Sant’Uffizio, rinviando tutto al Vangelo? E se le finanze vaticane fossero smagrite, decentrate, gestite con assoluta trasparenza da personaggi laici indipendenti? E se si sbloccasse tutta l’impostazione dogmatica e pastorale sulla sessualità di preti e laici? E se molti curiali andassero a fare i parroci in prima linea dove si svolge il buon combattimento della fede? E se ci fosse tolleranza zero verso tutti i veri comportamenti abnormi del clero (magari si è stati e si è tuttora severi ed emarginanti verso un prete che ha una relazione con una donna o con un uomo alla luce del sole, e si è tolleranti e omertosi verso chi vive la propria sessualità nel nascondimento, magari nella sporcizia se non nella devianza totale)? Domande provocatorie, ma legittime ed opportune. Ho riflettuto prima di scrivere queste sofferte riflessioni, ho cercato di non avere cattiveria verso alcuno, non ho inteso scagliare pietre perché non sono senza peccato, ho esposto solo il mio pensiero critico. Caso mai il nuovo prefetto del Sant’Uffizio aprirà una pratica sul mio conto.