Il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa operava, come prefetto di Palermo, con grande energia e coraggio contro la mafia, mio padre ascoltava con interesse ed apprensione le notizie relative. Notava che questo servitore dello Stato si stava esponendo a grossi rischi e che forse non era sufficientemente coperto e protetto dalle Istituzioni, temeva che fosse allo sbaraglio, solo contro tutti o quasi tutti. Davanti ai telegiornali che riportavano le iniziative di Dalla Chiesa si esprimeva alla sua maniera: «Col Cèza lì al fa ‘na brutta fén, second mi ial fan fôra…». Lo ripeteva con grande apprensione tutte le volte che il generale appariva in video. Fu purtroppo facile profeta. Quando successe il fattaccio, assai sconsolato e demoralizzato mi disse: «A l’äva dítt, lilôr in schèrson miga, bisogna tirärogh déntor tùtti e dabon, inveci ian mandè avanti Céza e il an lasä da lu». Aveva ragione.
È la sorte toccata a chi ha combattuto la mafia come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Mi sono sempre chiesto come mai i mafiosi abbiano usato la strada maestra dell’attentato per far fuori i loro nemici a livello di servitori dello Stato. Mi si perdonerà una banale similitudine. Razionalmente pensavo che al mafioso potesse succedere la beffa, come in capo a quel buontempone, una di quelle persone che non si riesce mai a capire fino in fondo se “ci arrivano o ci marciano”, che era uno specialista nel collocare le trappole per catturare i topi (almeno così diceva lui). Era però illuso di risolvere così definitivamente il problema al punto che, dopo averli catturati, inforcava la bicicletta e li portava in aperta campagna, poi li liberava in qualche prato. Una volta, ritornato frettolosamente a casa, si trovò di fronte ancora a due bei ratti in piena forma. Li guardò con stupore e disse tra sé, ma anche rivolto a loro: «Dio av maledissa, siv béle chi, iv fat pu a la zvèlta che mi a tornär indrè?».
Fuor di metafora: uccidete me, ma dietro di me c’è subito chi è pronto a raccogliere il testimone e che è al corrente dei risultati delle mie inchieste; non potrete uccidere tutti…
Ebbene, il problema è che questi uomini impegnati coraggiosamente in prima linea sono stati lasciati soli, a volte addirittura osteggiati, beffeggiati o sottovalutati, e allora la faccenda si è fatta molto problematica e drammatica. Forse, al di là di tutto, i colpi inferti alla mafia dipendono proprio dai passi avanti compiuti nel senso di allargare e interconnettere le indagini in modo da rendere non più così efficace l’aggressione e l’eliminazione del singolo.
Certo, se un magistrato non può fidarsi dei colleghi, dei poliziotti a sua disposizione, dei politici che governano il territorio e lo Stato, nemmeno della gente perché non parla e magari sta dalla parte sbagliata, la gara diventa impossibile. Si tratta di agire su tutti questi piani. Occorre cioè l’impegno e il coraggio di tutti per mettere veramente a frutto l’eroismo dei pochi.
A che punto siamo? Mi sembra difficile stabilirlo. La mafia si è allargata a macchia d’olio ed è forse ancor più difficile combatterla. Si è introdotta in tutti i settori ed è ancor più arduo sradicarla. Forse l’abbiamo vicina e non riusciamo a coglierne l’immanenza e l’invadenza.
Alcuni sostengono che Falcone, Borsellino ed altre vittime non debbano essere considerati eroi, altrimenti si rischierebbe di enfatizzare la lotta rendendola un fatto mitico e fuori dalla portata della gente comune. Non sono d’accordo. Questi uomini sono degli eroi impegnati in una guerra che ci riguarda tutti da vicino. La loro vita e la loro morte devono scuoterci. Chi è l’eroe? Non un soggetto che compie imprese impossibili, ma che fa il proprio dovere fino in fondo, senza sconti e senza compromessi, fino alle estreme conseguenze. Ricordiamoci che il sacrificio cruento dipende anche dalla solitudine: è questo isolamento che costringe il testimone all’eroismo. Mi piace fare un parallelo tra i martiri della fede e questi martiri laici. È la stessa cosa: ci credevano davvero. Gli uni in Dio, gli altri nello Stato. Non vedo contraddizione tra i due campi, anzi… Però non dobbiamo lasciarli soli!