Alla sacrosanta ansia di vedere finalmente riconosciuti dalla legge alcuni diritti fondamentali della persona fa riscontro una scarsa attenzione mista a paure ancestrali e tatticismi strumentali da parte del Parlamento e delle forze politiche: in mezzo, bisogna ammetterlo, un po’ per necessità un po’ per esagerazione, ci sta un confuso panorama, talora caratterizzato da pericolose fughe in avanti, che finisce inopinatamente col ritardare ulteriormente l’intervento del legislatore.
È il caso dei bimbi figli di due papà, nati con l’utero in affitto e riconosciuti tali da certi magistrati in vena di sentenze creative. Queste spinte giudiziarie possono avere il sotterraneo e provocatorio intento di smuovere l’inerzia del Parlamento, ma possono finire col creare un clima sbagliato in cui si può avere la sensazione che qualcuno stia cercando di esagerare, abusando dei diritti prima ancora che vengano legalmente riconosciuti.
Il panorama è piuttosto complesso: si va dalle nozze gay alla maternità surrogata, dalla fecondazione in vitro al suicidio assistito, dal testamento biologico all’eutanasia vera e propria.
Il nostro Paese è assai limitato su queste materie: anche i più critici osservatori del Renzismo devono ammettere tuttavia che, nel campo dei diritti civili, i pochi passi avanti fatti (unioni civili e non solo…) sono merito di questo tanto bistrattato governo.
Se i diritti non vanno alla persona, la persona va ai diritti. E allora ecco un vero e proprio pendolarismo, messo in atto da chi si può permettere di aggirare l’ostacolo approdando in quegli Stati in cui la legislazione è molto più “permissiva”. In questi giorni sono state pubblicate vere e proprie mappe geografiche dei diritti civili, entro cui muoversi alla ricerca, in certi casi drammatica, di uno sbocco positivo alle proprie esigenze vitali.
Perché il legislatore italiano fa tanta fatica ad affrontare positivamente queste delicate ma imprescindibili materie? Domanda legittima per rispondere alla quale è necessario sprofondare in una storia fatta di scarsa laicità della politica, dovuta soprattutto ad una scelta strategica errata del PCI, che barattò, in un impossibile ed assurdo compromesso con la Chiesa e con l’elettorato cattolico, la rinuncia ai diritti civili in cambio di attenzione e appoggio sui diritti sociali (l’interclassismo DC però coprì questo campo) e sulla possibilità (ben presto rivelatasi illusoria) di partecipare al governo del Paese. Persino in vista del divorzio si replicò questo schema che venne definitivamente (?) sconfitto. Rimase tuttavia sulla politica italiana il riflesso di questa laicità condizionata, che permane tuttora, nonostante l’atteggiamento assai meno invasivo del Vaticano in clima bergogliano.
Stringi stringi il dibattito parlamentare resta imprigionato fra il bigottismo leale delle Paola Binetti, il puritanesimo strumentale delle Eugenia Roccella, il “crociatismo” populistico della Lega, il solito contrattualistico approccio dei berlusconiani, i tentennamenti pseudo-coscienziosi dei piddini e il velleitarismo dei grillini. Ne sortisce, in Parlamento, un diluvio di bozze, di emendamenti, di discussioni sterili e inconcludenti. A livello giudiziario un maldestro tentativo di coprire gli spazi vuoti. A livello popolare una sostanziale indifferenza all’insegna “dell’ognuno si tenga i suoi problemi, ché io ne ho già abbastanza dei miei”. Il permanente e coraggioso occhio vigile dei radicali non riesce a tener viva l’attenzione nemmeno trasgredendo con l’adozione e l’appoggio di iniziative ai limiti della legalità.
A proposito di Eugenia Roccella, deputata e allora sottosegretaria al Welfare nel governo Berlusconi, che si schierò, a fini meramente demagogici, contro la sentenza sull’interruzione dei trattamenti sanitari a Eluana Englaro, dirò che, durante la mia breve frequentazione di una casa di riposo in cui era ricoverata mia sorella, di fronte a certi drammatici casi di sopravvivenza forzata, mi venne spontaneo esclamare ripetutamente, rivolto alle operatrici impegnate in queste pratiche assistenziali e alle prese con difficoltà enormi: «Andate a chiamare Eugenia Roccella, lei sì che se ne intende e vi può aiutare…». Mi guardavano e non capivano. Forse pensavano che l’ambiente mi stesse contagiando.
Le persone più gravemente malate di quella casa di riposo saranno probabilmente nel frattempo decedute, ma Eugenia Roccella è ancora lì sui banchi parlamentari a pontificare ed a sparare cazzate sul testamento biologico: «È una legge ideologica, che apre all’eutanasia. L’alimentazione artificiale serve a mantenere in vita chiunque, non è una terapia. Se gliel’avessero tolta, Fabo avrebbe potuto morire anche in Italia». Andasse a quel paese, lei e tutte le Roccelle del mondo!
Tornando ai discorsi seri, la legge sul biotestamento sarà nelle aule parlamentari il prossimo 13 marzo: ciò non vuol dire che il discorso si sbloccherà definitivamente. Speriamo in un rigurgito di senso di responsabilità e di coscienza democratica.
Se parliamo di coscienza democratica se ne vedono di tutti i colori. Le stranezze per la democrazia non so se siano il suo bello, ma sicuramente non mancano. Mi riferisco ad esempio al dibattito parlamentare in Gran Bretagna sulla brexit. Ebbene, il governo conservatore di Theresa May ha varato un certo percorso di uscita tendente a contrattare con l’Unione Europea la permanenza dei tre milioni di cittadini europei in territorio inglese a condizioni di ottenere analoghe garanzie per il milione di britannici residenti negli altri Paesi della Ue. Questa procedura compromissoria è stata ampiamente approvata dalla Camera dei Comuni, il rampo parlamentare di elezione popolare e democratica, mentre ha trovato un imprevisto alt nella Camera dei Lord, la camera alta del parlamento britannico, i cui membri non sono eletti bensì nominati, un’assemblea calata dall’alto, rimasuglio di una impostazione istituzionale monarchica e nobiliare. Ebbene i lord hanno votato contro con ampio scarto. La baronessa laburista Hayter ha così motivato il suo orientamento rivelatosi maggioritario: «Sarebbe disumano considerare gli Europei che vivono e lavorano tra noi alla stregua di merce di scambio nelle trattative». Un’autentica lezione di democrazia, di accoglienza, di rispetto per le minoranze, di europeismo. Non si sa come andrà a finire la questione specifica, peraltro di grande rilevanza internazionale. Ma l’episodio mi ha fatto riflettere. Ci voleva una baronessa inglese a spiegarci e ricordarci cos’è la democrazia?! Meditate parlamentari italiani, meditate…