Al centro delle polemiche l’invito alla «rivolta sociale» lanciato dal leader Cgil e la frase della premier che si è lamentata di dover essere al lavoro a Budapest nonostante la malattia perché priva di diritti sindacali. Landini, ieri in piazza con i lavoratori del tpl. «Non ho proprio nulla da rettificare, anzi voglio rilanciare con forza». «Loro cosa stanno facendo?», dice rivolto al governo. «Stanno aumentando i soldi per comprare le armi, stanno aumentando la precarietà, stanno tagliando e stanno favorendo quelli che evadono il fisco. E questo sarebbe possibile mentre non è possibile dire che c’è bisogno di una rivolta sociale? Aggiungo che ci siamo rotti le scatole, perché non è più accettabile che quelli che tengono in piedi questo Paese siano quelli che non sono ascoltati e che non vengono rappresentati».
«Per impedire gli scioperi bisogna dare le risposte ai lavoratori, ai cittadini. Se il governo vuole evitarli, deve rinnovare i contratti, mettere le risorse necessarie e accettare il confronto con i sindacati, cosa che non sta facendo», insiste il leader Cgil. E si dice pronto a regalare alla premier il libro «L’uomo in rivolta» di Camus. E dice che «era più facile trattare con Draghi a palazzo Chigi: con lui abbiamo sottoscritto degli accordi mentre questo governo trattative e accordi con i sindacati non ne vuol fare. A meno che noi non diciamo che va bene quello che lei sta facendo. Questo è il pericolo che vedo». (dal quotidiano “Il manifesto” – Andrea Carugati)
Da tempo, sgomentato dalla penosa situazione passivamente subita dalla gente, penso a quella che io preferisco chiamare ribellione civile (se non è zuppa è pan bagnato rispetto alla rivolta sociale). Forse nella mia idea c’è qualcosa di più profondo, di istintivo, di prepolitico: un moto dell’animo che reagisce alle evidenti storture di un sistema che via via si sta facendo sempre più un regime.
Finalmente qualcuno a livello pubblico ha osato parlare questo duro linguaggio: il sindacato che riprende a fare politica? Bisogna però andare oltre il mero rivendicazionismo spicciolo e/o corporativo (vedi i selvaggi scioperi dei dipendenti dei trasporti pubblici) e la mera protesta di piazza (vedi gli scioperi generali, strumenti che non colgono e non possono rappresentare il diffuso malcontento esistente nella società).
Il sindacato ha al proprio interno un deficit di rappresentatività, una conflittualità intercategoriale, una grossa difficoltà a fare sintesi, elementi che mi fanno dubitare della possibilità e capacità di incarnare una vera e propria rivolta sociale. Forse però non è il caso di sottilizzare e di pontificare: le cose vanno male e bisogna reagire prima che sia troppo tardi. Se aspettiamo che si risveglino i partiti della sinistra, rischiamo di subire nel frattempo gravissimi attentati al vivere civile (dalla Costituzione in giù…).
Da una parte occorrerebbe una forte unità sindacale che purtroppo non esiste, dall’altro lato sarebbe necessario coinvolgere le altre categorie professionali e imprenditoriali che preferiscono concentrarsi sui loro piatti di lenticchie. E poi ci sono i pensionati, i disoccupati, gli immigrati, i poveri assoluti, etc. etc.
Non è il caso tuttavia di fare del perfezionismo socio-politico: quando la casa brucia non si può stare a discutere su chi e come si debba intervenire, bisogna tiare delle secchiate d’acqua, sperando che possano bastare ad evitare il peggio. Poi dovrebbero arrivare i vigili del fuoco, gli specialisti, gli analisti, etc. etc.
Visto che la politica dorme, che i cittadini mugugnano ma tacciono, si astengono, si richiudono nei loro illusori recinti, non resta altro da fare che suonare le campane dal momento che il governo suona le trombe (non sa fare altro!). Basterà a scuotere la coscienza civile degli italiani? Ho seri dubbi, ma bisogna provarci. Potrebbe almeno essere l’inizio di una rifondazione politica della nostra democrazia: un processo che dovrebbe partire dal basso, dalle minime aggregazioni sociali, dalle spinte giovanili, dall’impegno civile del volontariato e dagli impulsi alla solidarietà. Buttiamo quindi qualche sasso in piccionaia, poi non nascondiamo le mani, anzi meniamole pacificamente ma convintamente.